giovedì 5 febbraio 2009

Revolutionary Road

1955. Nel Connecticut, nella strada citata nel titolo, vive la famiglia Wheeler: papà Frank (Leonardo Di Caprio), mamma April (Kate Winslet) e due figli (che in tutto il film si intravedono, quasi inspiegabilmente, solo un paio di volte). Essi vivono – vivono? – in una graziosissima casetta, una prigione dorata a tutti gli effetti: Frank guadagna bene ma è sostanzialmente un uomo mesto, del tutto privi di interessi e di stimoli (se si escludono le scappatelle con una segretaria del suo stesso ufficio); April, donna mentalmente fragile, crede di avere un talento artistico che non ha, visti i suoi disastrosi precedenti da attrice dilettante. Il tentativo della coppia di liberarsi dalla serenamente squallida vita che conducono – cioè trasferirsi utopisticamente a Parigi – sarà ostacolato da una proposta promozione fatta a Frank, dovuta all’emergere del mercato dei computer.
Il prologo della pellicola sembra condensarne l’essenza: una coppia “speciale” (anche se non si capisce perché il paesino in cui risiedono la etichetti così) in un posto ‘normale’ non può reggere a lungo. L’unica via di fuga a loro concessa è quella di una ‘rivoluzione’ (quella della strada e del titolo), ovvero – in tal caso – trasferirsi a Parigi. Ma è davvero questa la via da prendere? O la prima rivoluzione deve avvenire dentro di loro, nelle loro menti, così come è avvenuta nel figlio di una loro vicina (Michael Shannon), che tutti reputano matto ma che pare la voce soffocata della loro coscienza? Il film di Sam Mendes (American Beauty, Jarhead) non dà alcuna risposta, tradendo lo spirito dell’omonimo romanzo di David Yates dal quale è tratto. La messinscena è, infatti, accademica, fredda, inamidatissima, tutta testa e niente cuore. È alto il rischio di non rimanere affatto emotivamente coinvolti, visti anche i non pochi momenti di stallo. Inoltre, la durata della pellicola pare superiore al materiale narrato. Se il risultato finale è comunque positivo, lo si deve soprattutto alle ottime performance recitative di DiCaprio (ormai il suo talento è impossibile da mettere in dubbio), della Winslet (moglie del regista) e di Shannon (candidato all’Oscar), ovvero le classiche interpretazioni che l’Academy di solito premia e che stavolta non hanno ricevuto nemmeno una nomination (…ma almeno la Winslet ha vinto il Golden Globe). Quanto a Kathy Bates (fu una Misery da Oscar), non la si dimentica, per quanto la si veda poco. Le fin troppo celebrate musiche di Thomas Newman (Le ali della libertà) divengono intriganti soprattutto nella seconda ora; la fotografia di Roger Deakins, che talvolta sembra ricalcare quadri di Hopper o di Rockwell, è bella come sempre.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: I