giovedì 17 giugno 2010

Terminator Salvation

Anno 2018: le macchine, dopo aver acquisito l’autocoscienza, hanno scatenato l’Apocalisse nucleare sulla Terra (il “Giorno del Giudizio”) per distruggere l’umanità, ritenuta un nemico. La “Resistenza”, costituita dai pochi sopravvissuti e guidata dal generale Ashdown, è sul punto di sferrare un contrattacco decisivo alla rete mondiale delle macchine (detta “Skynet”), la quale pianifica la definitiva eliminazione di tutti i superstiti tramite nuovi cyborg ‘da infiltrazione’. John Connor, uno dei leader della Resistenza, quasi messianicamente ritenuto colui che sconfiggerà una volta per tutte Skynet, punta a posticipare l’attacco di Ashdown in quanto la morte del suo introvabile padre Kyle Reese – ancora ragazzino – produrrebbe un “aborto retroattivo” (così chiamato nel primo “Terminator”) che lo condannerebbe insieme all’intera umanità: infatti Reese lo concepirà nel 2029, viaggiando nel tempo fino al 1984. Inoltre, a complicare la situazione giunge il misterioso Marcus Wright, che ricorda poco del proprio passato e che non sa nulla della propria natura. Il rapporto che instaurerà con Connor e la Resistenza si dimostrerà proficuo per tutti.
La saga inaugurata nel 1984 dal grande regista d’azione James Cameron (Titanic) viene nuovamente riaperta dopo la maldestra terza puntata (2003) firmata Jonathan Mostow (U-571), che abbandonava la componente ansiogena di T1 e T2 per l’autoparodia, voluta da A. Schwarzenegger alla sua ultima performance. Ora la regia passa a Joseph McGinty Nichol, alias “McG” (Charlie’s Angels), che riesce quasi miracolosamente a ridare serietà alla saga, finalmente ambientata nel futuro tante volte intravisto nelle pellicole precedenti. Purtroppo la sceneggiatura di J. Brancato e M. Ferris appare traballante nello spolpare fino all’osso il paradosso temporale già alla base del primo episodio, ovvero quello sul legame tra John Connor ed il padre: però qui Connor (un Christian Bale sempre all’altezza) non viene protetto, ma protegge. In questo quadro la regia dà largo spazio all’azione mozzafiato – rumorosa, ma mai eccessiva o decerebrata – in cui uomini e macchine si scontrano in scenari alla Mad Max, cioè dominati dalla desolazione e dai rottami. Gli straordinari effetti visivi della ILM di Lucas, combinati alla ‘sporca’ fotografia di S. Hurlbut, quasi da reportage di guerra, trasmettono allo spettatore una sensazione di realismo davvero notevole. Alla qualità della confezione contribuisce anche la coinvolgente colonna sonora di D. Elfman (Spider-Man), che in un memorabile frangente (quello in cui fa capolino uno Schwarzy digitalizzato) ricalca ed omaggia il tema dei titoli di testa del primo episodio (peraltro ‘declinati’ in  grafica 3D in questo film). A dare spessore alla pellicola giunge in soccorso il personaggio di Marcus (il lanciatissimo Sam Worthington), la cui umanità dimezzata nel fisico (è un inedito modello di cyborg) ma non nel cuore (in tutti i sensi) è fonte di speranza circa il futuro. Il suo operato si dimostra necessario per la ‘salvezza’ dell’umanità (quella ‘fisica’) e per la sua “Salvazione” (sì, quella del titolo): solo dopo l’Apocalisse appare evidente quanto le macchine, senza la componente umana – che le genera e che le utilizza – siano inutili mostruosità fini a se stesse. Solo ciò che ci rende umani, come l’amore, l’altruismo, la diplomazia, il buon senso – e non solo – sono i veri motori del mondo. E appare quasi piacevolmente assurdo che sia un cyborg in un blockbuster fantascientifico da duecento milioni di dollari a ricordarcelo.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: I