mercoledì 31 ottobre 2012

BuonCinema ha compiuto 5 anni!

Sembra ieri, eppure son passati ben cinque anni dalla nascita di questo umile blog di cinema. Era la fine di settembre 2007 quando pensavo a come battezzarlo: da studente di Lettere qual ero (ora due volte laureato) ci tenevo a dargli un nome in italiano!

Probabilmente uno in inglese sarebbe stato più accattivante, avrebbe portato anche più visite - magari di visitatori anglofoni in cerca di recensioni nella loro lingua - ma ho preferito chiamarlo BuonCinema (proprio così, tutto attaccato e con la "C" maiuscola), come se qualcuno dicesse "Buongiorno!" spinto da un certo ottimismo, legato soprattutto alla mia volontà di recensire film degni di essere guardati almeno una volta.

Chiunque abbia confidenza col mondo della settima arte, e che scriva qualcosa a riguardo, sa benissimo quanto possa esser divertente analizzare - o, come spesso capita - massacrare un brutto, bruttissimo film (e ce ne sono tanti). Ed è parimenti divertente - se non di più - leggere tali recensioni. Per questo il blog prende in considerazione sostanzialmente opere che siano quanto meno decenti: di spazio per i film scadenti ce n'è poco.

Così il 6 ottobre 2007 aprii BuonCinema su Splinder, all'epoca la piattaforma italiana più popolata e trafficata, ormai defunta (insieme a tantissimi blog da essa ospitati e non trasferiti altrove dai rispettivi autori). Il giorno stesso iniziai a pubblicare - o a postare, come (purtroppo) si dice - delle brevissime recensioni che avevo già scritto tempo prima, insieme ad altre appena composte. E il giorno stesso già apparvero, quasi magicamente, dei commenti.

Ben presto mi diedi da fare per migliorare il blog, effettuando ricerche per modificare e arricchire il template con svariati widget e i giusti metadati (che tanto bene fanno al numero visite). Allo stesso tempo scrivevo altre recensioni e aggiungevo contatti su contatti, cercandoli tra quelli che orbitavano intorno ai blog cinefili. In breve tempo capii come il tutto funzionava. Ed era bello vedere quanta vita ci fosse in Splinderopoli.

Poi ci fu il boom di Facebook nell'autunno del 2008, e il vento cambiò direzione - per non cambiarla mai più. Anzi, quel vento soffiò sempre più forte, tanto che la piattaforma fu costretta a chiudere, cosa avvenuta il 31 gennaio 2012, dopo alcuni anni di agonia. Qualcosa di simile pare proprio stia accadendo a MSN: un tempo era facile sentire tra amici un "ci vediamo su Messenger". Ora lì c'è il deserto. C'è chi lo apre solo per controllare la posta (e potrebbe pure evitare di passare di lì).

Portare il mio vecchio BuonCinema su Blogger è stata la mossa giusta per farlo continuare a vivere e farlo rinascere contemporaneamente. Se non fosse che tantissimi post sono ancora in attesa di migrare dal file contenente tutto il vecchio blog (in formato xml) al blog vero e proprio, BuonCinema sarebbe ora fruibile al cento percento. Ma con un po' di pazienza e con qualche widget adeguato e funzionante, spero di compiere anche quest'ultimo passo decisivo.

Intanto posso dire che è bello essere ancora qui. Prometto che annaffierò la mia piantina digitale - perché questa è la natura dei blog - con più frequenza. Col fatto che ora che ha un dominio tutto suo, poi, c'è più gusto...

mercoledì 10 ottobre 2012

The Last Days Of Disco


Il titolo è la parafrasi di quello di un film altrettanto – se non di più – famoso, ovvero Gli ultimi giorni di Pompei, girato nel 1908 e rifatto ben 5 volte. La storia è anch’essa quella di un crollo, ma non di una città, bensì di un locale e della musica che in esso risuonava ad alto volume. E degli ideali (o presunti tali) di chi ballava sulle sue note. Stiamo parlando del club newyorkese Studio 54 di Steve Rubell, e della disco music, che ebbe ampio ma effimero successo. Ci troviamo "nei primissimi anni Ottanta", presumibilmente tra il settembre 1980 e la primavera dell’anno seguente, come si evince dagli eventi narrati. Protagonista di quest’affresco è Alice Kinnon (Chloe Sevigny), consulente in una casa editrice dall’indole fin troppo pacifica, sottomessa dall’amica-per-forza e collega Charlotte (Kate Beckinsale), con la quale coabita. Entrambe fresche laureate all’Hampshire College, frequentano il locale insieme a un amico frustrato per dimenticare la grigia quotidianità (come il Tony Manero de La febbre del sabato sera), e per inserirsi nella "New York bene", magari acciuffando qualche giovane yuppie. Di conseguenza, in questa crudele gara sociale, le personalità sono portate a scontrarsi anche più del necessario, in un continuo tripudio d’invidie e incomprensioni. Ma, come tutte le gare, ha un inizio e una fine, che coincide con quella dell’effimero fenomeno musicale e che forse – ma non per tutti – è anche l’inizio di una vita adulta e responsabile. Rubell (qui ribattezzato Bernie) venne arrestato dalla narcotici, e sulle note di Dolce Vita di Ryan Paris un’era, improvvisamente, finì.
Con questo affresco riuscito a metà, il regista e sceneggiatore Whit Stillman (classe 1952) chiude la personale "trilogia sull’alta borghesia urbana" iniziata con Metropolitan (1990) e proseguita con Barcelona (1994). È un peccato che la regia non sia dinamica come la musica che impreziosisce la pellicola: la narrazione parte bene, ma complessivamente si dimostra troppo orizzontale, quasi appiattendosi per essere al livello dei poco amabili personaggi che ritrae. Le uniche figure per le quali si può provare un minimo di simpatia sono quelle che nel finale difenderanno lo spirito della disco pur essendo a bordo della metropolitana, dando il via a dei titoli di coda quasi bollywoodiani. La sceneggiatura pecca di evidente verbosità, e alcuni dialoghi suonano fin troppo didascalici. E l’esile trama pare avere la stessa scarsa consistenza di ciò che descrive. Perché è questo il grande limite di The Last Days Of Disco: descrivere a grandi tratti, invece di raccontare o spiegare ciò che è stato. Lo spettatore del 1998 – anno della sua uscita – e degli anni a venire che non sappia cosa sia stato il movimento americano anti-disco ("Disco Sucks!"), e perché quindi alcuni personaggi si evitino o scontrino per colpa degli abiti che indossano o del mestiere che fanno, qui non troverà risposte. C’è sono spazio solo per una rievocazione nostalgica ma, in fin dei conti, sfocata.
Uscito nelle sale americane nel maggio 1998, tre mesi prima di Studio 54 di Mark Cristopher, fu distribuito in poche copie VHS e DVD nel ’99. Irreperibile quasi per un decennio, solo nel 2009 tornò in vendita grazie alla Criterion, che l’ha restaurato (con l’approvazione del regista) e aggiunto alla propria rinomata Collection, arricchendolo di svariati extra e di una copertina opera dell’artista francese Pierre Le-Tan. Dal 2012 è stato pubblicato anche in Blu-Ray.
PS Lo Studio 54, così chiamato in quanto ex teatro di posa televisivo nella 54esima strada di Manhattan, aprì nel 1977 e chiuse nel 1986. Poi riaprì come teatro, funzione che ha tutt’oggi. Però quando non ci sono rappresentazioni in corso, il secondo piano continua a esser utilizzato come nightclub sotto il nome di Upstairs at Studio 54.


CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: I

Locandina del giorno: Not Fade Away