domenica 23 febbraio 2014

All Is Lost - Tutto è perduto


[Attenzione spoiler]

Un attempato navigante senza nome (Robert Redford) si risveglia disperso nell'Oceano Indiano "a 1.700 miglia marine dallo stretto di Sumatra". La sua barca a vela ha lo scafo rotto dall'impatto con un container alla deriva: l'acqua l'ha allagata, tutti gli strumenti digitali sono inutilizzabili. Per ritrovare la rotta servirà infinita tenacia, resistendo alle continue avversità.

Potrebbe All Is Lost essere la risposta indie e intimista a Vita di Pi e a Gravity? Dopo il buon esordio col thriller finanziario Margin Call, sulla notte che diede il via alla persistente crisi economica, l'americano J.C. Chandor continua il proprio percorso di regista indipendente con un film ancora una volta da lui scritto e diretto, presentato fuori concorso a Cannes 2013. Se nel primo si affidava a un folto cast di star, qui compie un'operazione diametralmente opposta: tutto è sulle spalle di un ottimo Redford, talmente misurato da risultare forse fin troppo sotto le righe. E' ottima la trovata di non fornire alcun dettaglio sul passato del protagonista: una scelta di scrittura che permette alla storia di diventare una metafora sulla condizione dell'uomo sulla Terra. Cosa che diviene evidente soprattutto nella seconda metà film, meno prosaica e più immaginifica. Non a caso cambia il taglio visivo: da inquadrature che non vanno al di là della figura intera, si passa a totali e a panoramiche che mettono in risalto la solitudine del protagonista. 
Inizialmente il trovarsi disperso nell'oceano è pari al dantesco mi ritrovai per una selva oscura/ché la diritta via era smarrita. L'uomo è su una barca (cioè si affida ai beni materiali), e provare a ricorrervi a ogni costo (riparare lo scafo) è inutile a lungo termine (la barca affonda). Con i beni materiali non si supera tutto, e nel mondo non averli è come sentirsi nudi. Per ritrovare la retta via il disperso ricorre a un semplice sestante, si basa quindi sulle stelle (il divino, l'immateriale, il trascendente) e a una bussola. Pur a bordo di un gommone, quasi una seconda pelle, supera un'altra tempesta, potenzialmente letale. I viveri sono finiti, si prova a pescare con la lenza a mano, ma proprio quando si crede di aver ottenuto qualcosa, lo si perde, rendendosi conto che si è circondati di squali (metafora chiarissima). L'apparizione di navi nel corso della navigazione, potenzialmente salvifica, non porta a nulla: appellarsi ai simili è pari a un grido che si perde nel vuoto, se gli altri fanno/hanno orecchie da mercante (sono navi cargo quelle che passano). I fumogeni non servono. E' da sé stessi che si deve (ri)partire. Allora si brucia tutto quel poco che resta per farsi notare, un ultimo disperato tentativo di rivendicare che si è vivi, che si ha diritto all'esistenza e alla sussistenza. Le speranze sono perdute, si è in acqua. Proprio quando ci si sta lasciando andare, arriva una luce, una mano. Forse si è già nell'aldilà, forse no: ma si è salvi. In ogni caso ci si era persi, ci si è ritrovati. Per cui, il messaggio lasciato alla deriva in una bottiglia 

Mi dispiace. So che adesso questo significa ben poco, ma mi dispiace. Ci ho provato. Sarete tutti d'accordo che ci ho provato. A essere vero, a essere forte, a essere gentile, ad amare, a essere giusto. Ma non lo sono stato. Tutto è perduto. 

non è del tutto veritiero. Corrisponde a una fase critica della vita umana, dalla quale si può uscire solo a patto che lo si desideri davvero, con tutte le forze.
PS Eccetto alcune riprese fatte ai Baja Studios di Rosarito Beach (quelli di Titanic), il film è stato girato dal vero, con ritocchi digitali solo per onde e sfondi. La fotografia 'ordinaria' è di Frank G. DeMarco, di Peter Zuccarini quella subacquea: tutti i pesci sono veri.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: T