venerdì 23 gennaio 2015

American Sniper


Chris Kyle è un bambino del Texas, tirato su da un padre teocon che gl'insegna che il mondo è popolato da pecore, lupi e cani da pastore. E in casa sua è ammessa solo l'ultima categoria. Quando compie 8 anni, Chris riceve in regalo il suo primo fucile. Da grande, dopo aver visto in tv connazionali morire negli attacchi alle ambasciate in Kenya e Tanzania, si arruola nei Navy Seals: da cowboy perdigiorno che era diverrà il "cecchino più letale della storia americana".
A 84 anni il vecchio Clint torna al war movie. Dopo Flags Of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima, racconta la vera storia di Kyle, col suo solito stile asciutto (e un paio di fronzoli). Accusato - in patria e fuori - di essersi lasciato andare a un becero patriottismo, in realtà Eastwood è nei paraggi di Jarhead e di The Hurt Locker nel rappresentare gli effetti della guerra sulle menti dei soldati, sposando del tutto il punto di vista del protagonista, graniticamente convinto della rettitudine di quel che fa. In questo c'è uno dei grossi difetti del film: il non approfondire il personaggio, che quasi ipnotizzato dai propri ideali ("i nostri lì stanno morendo" ribadisce alla moglie perennemente sola con figlio da svezzare) pare aver perso buona parte della propria umanità nel giorno in cui s'è dato alle armi. Una drogatura da guerra che nella sua mente ha rimpiazzato la famiglia con i camerati, l'Iraq con gli Stati Uniti. Non esattamente una novità. Soprattutto alla luce del fatto che il vero Kyle fosse un "hate-filled killer" ("assassino imbevuto d'odio") come ha fatto notare il giornale britannico Guardian, che ha pubblicato alcuni estratti dell'omonima autobiografia su cui si basa il film. Esternazioni come "non me ne frega un cazzo di niente degli iracheni" e "odio i maledetti selvaggi", condite dalla percezione che uccidere sia "bello" e "divertente", offrono un ritratto del protagonista ben diverso. L'unico momento in cui viene offerto un degno - seppur fugace - controcampo è nell'incontro col fratello. Comunque American Sniper resta una macchina filmica che funziona benissimo, teso dall'inizio alla fine e con più di una sequenza emozionante. Due le concessioni stilistiche insolite in film targato Eastwood: con tanto di ralenti, uno degli spari più importanti del film quasi richiama il bullet time di Matrix; i titoli di coda avvolti dalle bandiere a stelle e strisce. Quest'ultima, una nota stonata che dà appiglio alle critiche dei detrattori.
PS Per dirigerlo la Warner Bros aveva inizialmente chiamato Steven Spielberg, che avrebbe dato alla storia un taglio assai diverso, puntando molto sullo scontro a distanza col doppelgänger del protagonista. Quando è subentrato Eastwood - che aveva già letto il libro - lo script è stato drasticamente ridotto e semplificato. 
PPS Molti spettatori americani sono rimasti infastiditi dalla presenza di un bambolotto (acquistabile su Alibaba.com per pochi dollari) preso per impersonare il neonato figlio di Kyle. Come tutti sanno, Eastwood gira i propri film in poche settimane e non s'è smentito nemmeno stavolta (44 giorni). Lo sceneggiatore Jason Hall ha raccontato su Twitter com'è andata: "Odio rovinare il divertimento, ma il bambino vero n. 1 è arrivato con la febbre. Il bambino vero n. 2 non si è presentato. (Voce di Clint) Datemi la bambola, ragazzi".

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: A

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