venerdì 29 maggio 2015

Visioni gratuite: Kung Fury



Ecco finalmente il delirante, demenziale mediometraggio d'azione del filmmaker svedese David Sandberg. Un viaggio negli anni Ottanta filtrati dalla memoria collettiva e dal videotape, in cui nessun limite di buon gusto è contemplato.
NB I sottotitoli in italiano in realtà sono in spagnolo: dopotutto, più che di dialoghi, trattasi di battute che nemmeno il peggior Stallone osava pronunciare. Anche per chi non dovesse avere grande confidenza con l'inglese la visione non dovrebbe costituire un problema... Buona immersione!

mercoledì 27 maggio 2015

Scene memorabili: American Psycho


La celebre scena dello scambio dei biglietti da visita di American Psycho (2000), diretto da Mary Harron. Uno dei momenti più riusciti del film, che bene evidenzia l'ossessione per l'esteriorità del protagonista yuppie, emblema vivente del vuoto pneumatico degli anni Ottanta.

giovedì 14 maggio 2015

Need For Speed


Era il 1994 quando la canadese Electronic Arts pubblicò The Need For Speed, primo capitolo della tanto celebre quanto longeva serie di videogiochi di corse automobilistiche. Nato dalla collaborazione col magazine Road & Track (una sorta di Quattroruote americano) e caratterizzato da immagini e suoni di grande realismo, consentiva ai giocatori di guidare auto da sogno in suggestive località rurali o urbane. Dopo vent'anni e venti episodi, è giunto nelle sale l'adattamento cinematografico, coprodotto dalla Dreamworks. Un'operazione meno semplice del previsto, perché a complicarne la genesi aveva provveduto la saga cinematografica di Fast & Furious, nata nel 2000. Questa, pur mai ispirandosi al videogioco, aveva finito per influenzarlo e quasi snaturarlo, come dimostrano i vari Need for Speed: UndergroundNeed for Speed: Undercover e simili, basati su corse clandestine notturne ambientate in grigi scenari metropolitani. Aberrazioni fortunatamente evitate dai capitoli successivi, che hanno recuperato lo spirito delle origini. Proprio come Need for Speed: The Run del 2011, al quale si rifà in parte la sceneggiatura di George Gatins (candidato all'Oscar per Flight di Robert Zemeckis). L'esile trama del gioco prevedeva che il protagonista vincesse una folle corsa a tappe da Los Angeles a New York, braccato da polizia e mafia - oltre che da avversari scorretti. Nel film il meccanico/pilota Tobey Marshall (Aaron Paul, ai più noto per la serie Breaking Bed) gestisce l'officina di famiglia insieme ai suoi amici. Dopo la morte del padre gli affari vanno male e l'occasione presentatagli dall'odioso Dino Brewster (Dominic Cooper) - un tempo compagno di classe e ora pilota professionista - potrebbe rimpolpargli il conto in banca: ricostruire una Ford Mustang che il leggendario Carroll Shelby lasciò incompleta. A sovrintendere il tutto, l'ex pilota/demiurgo Monarch (un istrionico Michael Keaton). Da qui avrà avvio una serie di pericolose peripezie ad alta velocità.
Alla regia c'è lo stunt coordinator di lungo corso Scott Waugh, che ha garantito qualità alle riprese delle corse, quasi del tutto prive di effetti digitali. Un'ottima scelta, poiché le immagini instabili restituiscono tutte le asperità dell'asfalto (cosa che era mancata in Rush di Ron Howard: l'unica pecca del film). A zoppicare, com'era prevedibile, è lo script, pieno di buchi e di incongruenze. Gatins (il cui fratello John fa una comparsata) non è riuscito a salvare il film dall'usurato impianto de Il fuggitivo con Harrison Ford, con alcuni riferimenti al videogioco (la taglia sul protagonista, le ambientazioni, le auto extralusso), al cinema di genere (Steve McQueen sullo schermo del drive in) o persino autoreferenziali (i dvd di Act Of Valor e di Real Steel). Il pubblico di riferimento si divertirà nel veder sfrecciare la Bugatti Veyron V6 in riva all'oceano, ma potrebbe non gradire il tono del film quando vira verso il demenziale, il che avviene spesso quando è sono in scena gli amici del protagonista. Una nota di merito va all'inglesina Imogen Poots (28 settimane dopo), che si dimostra a suo agio in un ruolo brillante.
In conclusione: con Need For Speed si respirerà pure l'odore della strada, ma l'ingombro di una sceneggiatura annacquata potrebbe far venir voglia di mettersi al volante virtuale.

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: I

martedì 5 maggio 2015

Avengers - Age Of Ultron


Al termine degli eventi narrati in Captain America - The Winter Soldier, lo Shield - minato dalle infiltrazioni paranaziste dell'Hydra - è stato smantellato. I Vendicatori hanno riparato nella torre di Iron Man, ribattezzata Avengers Tower. Tony Stark (Robert Downey Jr.), temendo catastrofiche guerre future, ricorre allo scettro di Loki per mettere a punto "un'armatura per il mondo intero", combinandone l'insita intelligenza con quella artificiale della sua armatura. Nasce così Ultron (James Spader), il quale, conscio della natura violenta dell'umanità, decide di sterminarla, coadiuvato da due nuovi misteriosi personaggi: i fratelli Wanda e Pietro Maximoff (Elizabeth Olsen e Aaron Taylor-Johnson).
Alla seconda regia nell'universo cinematografico Marvel, Joss Whedon non ripete la prova convincente di Avengers, successo globale di tre anni prima (terzo maggiore incasso di sempre della storia del cinema). Sarà per l'eccesso di personaggi da gestire, sarà per il voler adottare a tutti i costi una formula differente, resta che il risultato è decisamente disomogeneo (date anche le tante ambientazioni: Germania, Stati Uniti, Sudafrica, Corea del Sud e l'immaginaria Sokovia). All'epoca si puntò a una solida struttura in tre atti (quasi delle macro-scene), permettendo ai personaggi di conoscersi e farsi conoscere, concedendo poi spazio all'azione. Stavolta, se si eccettua lo scontro finale, il regista-sceneggiatore pare a disagio con le scene d'azione, in particolar modo con quella tra Iron Man e Hulk. La storia ci mette non poco a carburare, nonostante sia condita da battute brillanti e da momenti di alleggerimento tutto sommato riusciti. In particolar modo, non convince l'uso esagitato della cinepresa, che in alcune sequenze pare ricordare - e questo è un male - L'uomo d'acciaio (2013) di Jack Snyder. Il montaggio, particolarmente serrato nelle scene d'azione, mal si concilia con il 3D. Anche gli effetti visivi a volte non sembrano all'altezza delle aspettative. Le musiche firmate dal bravo Bryan Tyler purtroppo stavolta deludono, risultando una pallida copia di quelle originali di Alan Silvestri (nonostante quelle addizionali portino, peraltro, la firma del grande Danny Elfman). Che dire poi di Thor, quasi ridotto a una comparsa di lusso? Tutti esiti, questi, del continuo braccio di ferro con la produzione. Non a caso Whedon ha dichiarato che non dirigerà più alcun capitolo all'interno dell'universo Marvel, non nascondendo una punta di rimpianto circa un'eventuale regia per il futuro Spider-Man. Gli incassi, comunque, hanno reso felici tutti. Di buono resta il maggior spazio concesso alle linee narrative di Vedova nera (Scarlett Johansson) e Occhio di falco (Jeremy Renner), oltre a un Bruce Banner (Mark Ruffalo) di toccante umanità, soprattutto quando è nei panni del suo alter ego verde.  
A proiezione finita ci si sente sazi, consapevoli però che il banchetto allestito da Whedon nel 2012 fosse più saporito: stavolta non si è poi così lontani dal kebab che all'epoca i Vendicatori consumavano, esausti, nei titoli di coda.

CRITICA: **1/2


VISIONE CONSIGLIATA: T

venerdì 1 maggio 2015

Magic In The Moonlight


Berlino, 1928. Stanley Crawford (Colin Firth), illusionista di fama mondiale, viene invitato dall'amico e collega Howard Burkan (Simon McBurney) a trascorrere una breve vacanza in Provenza. Con un obiettivo: smascherare la sedicente sensitiva Sophie Baker (Emma Stone) - bella, giovane e povera - sul punto di sposarsi col facoltoso pollo Brice (Hamish Linklater). La trama del 47esimo lungometraggio di Woody Allen è tutta qui. Ma basta ciò a qualificarlo come un film inconsistente, accusa mossa dai detrattori? Inficiato da qualche momento ripetitivo o di stallo, è valorizzato dalle ottime prestazioni dei due protagonisti e strappa più di un sorriso con alcune immancabili battute brillanti.
Vero cuore del film è il contrasto tra illusione e razionalità, incarnato dai due protagonisti. Il prestigiatore Crawford è - a dispetto del proprio mestiere - estremamente cinico, razionale e sarcastico. Vive di magia in un mondo che ne è privo. Sophie invece - pur disposta a cedere al fascino dei soldi - è convinta che non si debba credere (solo) a ciò che si vede: è lo sguardo a essere determinante. La morale è che un'esistenza senza un pizzico di mistero sarebbe triste e insensata. E uno dei misteri necessari è quello dell'amore. Una lezione che lo stesso Allen - pur essendo ateo convinto - impartisce allo spettatore grazie alla strepitosa fotografia panoramica del franco-iraniano Darius Khondji (Seven). Chi non sarebbe felice di trovarsi in una Costa Azzurra dai colori pastello in compagnia della persona amata?
Danneggiato da un battage pubblicitario insolitamente pervasivo, Magic In The Moonlight è costato 14 milioni di dollari e ne ha incassati solo 10 negli Stati Uniti: l'ennesimo flop in casa. Eppure globalmente ne ha incamerati 32. Come sempre Allen dimostra di essere più amato nel Vecchio Mondo che nel Nuovo.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: T