lunedì 22 settembre 2008

La leggenda di Beowulf

Danimarca, VII sec. d.C.. Il re Hrothgar (Anthony Hopkins) ed il suo popolo non sopportano più gli attacchi dell’orrido mostro Grendel, divoratore di uomini. Il prode Beowulf (Ray Winstone) giunge in loro soccorso, ma un suo madornale errore – indotto dalla madre del mostro (Angelina Jolie) – segnerà per sempre il suo futuro.
Dopo Polar Express – ritenuto dalla maggior parte della critica come uno spreco di fatica e di tecnologie – Bob Zemeckis ‘ci riprova’, girando un altro lungometraggio di animazione digitale. L’animazione in senso stretto, però, si giova in maniera integrale della recitazione degli attori in carne ed ossa (persino a livello di sguardo ed espressioni facciali): stiamo quindi parlando di performance capture, grazie alla quale di digitale vi è solo l’aspetto del film. Persino i movimenti di macchina sono spesso manuali. Inoltre, il fatto che esso sia stato distribuito in molte sale in 3D – ma non più coi cari vecchi occhialini di cartone – spiega perché vi siano così tante inquadrature ‘estreme’ (lance che sfiorano cornee, frecce in volo seguite quasi in soggettiva, e così via). L’esperienza visiva è di notevole impatto, per quanto i volti femminili – meno ben fatti di quelli maschili – tendano ad apparire ‘di plastica’. La sceneggiatura di Neil Gaiman (Stardust) e Roger Avary (soggettista di Pulp Fiction) rilegge e semplifica il poema originale, dando inaspettatamente spazio a numerosi ammiccamenti di taglio sessuale (molte le frasi ‘a doppio senso’ e i passaggi ambigui) e a svariate sequenze violente. Tutto ciò rende Beowulf una pellicola d’animazione che sorprenderà piacevolmente, a patto che non si sia under 12: nel qual caso, la visione è decisamente sconsigliata.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 15 settembre 2008

Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street

Benjamin Barker (Johnny Depp, Golden Globe come miglior attore) è uno stimato barbiere della Londra Vittoriana, la cui esistenza – insieme a quella dei suoi congiunti – scorre tranquilla e luminosa. Ma un giorno il sordido giudice Turpin (Alan Rickman, già noto ai fan della saga di Harry Potter), bramoso di avere con sé la di lui moglie, lo accusa di un delitto mai commesso e lo spedisce in galera, ove rimane per ben 15 anni. Al suo ritorno, l’uomo assume il nome di Sweeney Todd e si stabilisce nella sopraelevazione della lurida bottega della signora Lovett, la quale prepara “i peggiori pasticci di carne di Londra”. Avviando il proprio piano di vendetta ‘ad ampio raggio’ (che include anche il presuntuoso barbiere pseudo-italiano Adolfo Pirelli, interpretato da Sacha “Borat” Baron Cohen), Todd rifornirà di carne fresca la sua coinquilina, saziando gradualmente la propria sete di sangue.
Sweeney Todd, l’ultima fatica del genialoide Tim Burton, è un film non del tutto riuscito, ma di grandissimo fascino estetico: la messinscena (scenografie da Oscar del nostro Dante Ferretti) e la fotografia quasi monocromatica – di Dariusz Wolski – sono davvero straordinarie, ma ciò che non convince del tutto è l’andamento della narrazione, ‘castigata’ da numeri musicali non molto convincenti (se ne salvano due o tre). Paradossalmente, in questo insolito splatter-musical, sembra funzionare di più la semplice colonna sonora ‘di raccordo’ di Stephen Sondheim, già autore del musical teatrale al quale si rifà la pellicola. Comunque, notevole la sequenza dei titoli di testa – ad animazione digitale – ed il cupissimo finale; intelligenti ma superficiali i riferimenti alle pratiche di carità inglesi ottocentesche (vedi l’assistente di Pirelli), all’epoca di grande rilevanza sociale.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: A

giovedì 4 settembre 2008

Onora il padre e la madre

Hank (Ethan Hawke) ed Andy (Philip Seymour Hoffman) sono due fratelli assai diversi fra loro – anche per status sociale – entrambi però con seri problemi economici: il primo è divorziato e non riesce a mantenere la figlioletta (che gli urla al telefono “sei un fallito!”), il secondo è un cocainomane depresso che vorrebbe rifarsi una vita in Brasile con la propria avvenente moglie (Marisa Tomei, più nuda che vestita). Ma la via proposta da Andy ad Hank per incassare facilmente un bel po’ di soldi sarà causa di una lunga serie di sciagure che coinvolgeranno in primis la vita dei loro genitori…
Un torbidissimo thriller raffreddato quello che ci regala il grande regista americano – in tutti i sensi, dato che è anche ultraottantenne – Sidney Lumet (Quinto potere), in cui sono ritratte le amorali azioni – catalizzate dal dio denaro – di un’umanità senza speranza e senza possibilità di redenzione, come peraltro si evince dall’ironico, ‘luminoso’ finale. Le grandi interpretazioni dei due protagonisti (che a volte sembrano ‘dire di più’ quando non parlano), unite ad una solida regia a base di flashback intersecati e ad una degna confezione (la fotografia è virata in un grigio bluastro; le musiche sembrano quasi mettere ansia) concorrono alla riuscita di questo – ammettiamolo, volutamente sgradevole – affresco sulle origini del male, che sono da ricercarsi nella sola umanità.
Il titolo originale (Before The Devil Knows You’re Dead) è parte di un detto irlandese, consiglio dato ai peccatori sul punto di morire: se si possono rifugiare in paradiso ingannando il demonio, allora meglio per loro.

CRITICA: «««½

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 1 settembre 2008

Il postino

Isola di Salina, arcipelago delle Eolie, 1952. Il postino ausiliario Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) riceve l’incarico di consegnare la (consistente) posta in arrivo al famoso poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret), lì giunto perché in esilio politico: tra i due nascerà un’amicizia breve ma intensa. E, grazie al poeta, Mario comprenderà qualcosa di più della poesia e dell’amore.
Basato su Il postino di Neruda di Skarmeta, l’ultimo film di Troisi (morto prematuramente alla fine delle riprese) è sciaguratamente diretto dallo scozzese Michael Radford, la cui regia – sommaria e non ‘asciutta’ – è incapace di valorizzare i tanti momenti potenzialmente emozionanti. Tutto nel film appare ‘facile’ e scontato: la storia d’amore di Mario con “la bellezza dell’isola” Beatrice Russo (Maria Grazia Cucinotta); il rapporto con la politica; la ‘gestione’ di un’amicizia fuori dal comune. Senza Troisi, padre morale dell’opera, staremmo parlando di un film irrimediabilmente modesto. Musiche – vincitrici dell’Oscar – di Luis Bacalov.

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: T