venerdì 30 novembre 2007

Crank

Un killer professionista (Jason Statham, già visto in The Transporter e in The Italian Job) decide, dopo un ultimo incarico, di abbandonare il proprio mestiere per iniziare una nuova vita con la sua amata Eve. Ma un boss emergente gli rovina il piano iniettandogli, dopo averlo riempito di botte, una dose “da cavalli” di una micidiale droga cinese che gli rallenterà sempre più il battito cardiaco, portandolo alla morte nel giro di un’ora. In così poco tempo il nostro dovrà fare di tutto per tenere elevato il tasso di adrenalina nel sangue, per trovare l’antidoto e sistemare i conti. Più di un colpo di scena nel finale.
Quest’opera prima dei due registi pubblicitari Neveldine e Taylor, è l’ennesimo aggiornamento del vecchio Due ore ancora (titolo originale D.O.A. di Rudolph Matè, del 1950), girato con uno stile audiovisivo a metà strada tra un videoclip di musica rock ed una puntata di CSI. Pellicola violenta di innegabile sagacia, magari irritante, decisamente non è per tutti i gusti: comunque alcuni passaggi sono degni di nota. Lo sboccato e brusco protagonista è la colonna portante del film. “Crank” è un termine gergale americano usato per indicare una potente ed illegale metamfetamina.

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: A

martedì 20 novembre 2007

Pi greco - Il teorema del delirio

Chinatown. In un piccolissimo e lurido appartamento, vive in affitto Max Cohen, matematico ebreo ed ateo, che fa uso di un enorme computer (un mainframe) da lui stesso messo a punto, per scoprire gli schemi che svelano l’andamento della borsa di New York, ma anche del mondo naturale. Involontariamente guidato da ebrei zeloti e da loschi agenti di borsa pronti a ‘comprarlo’, sarà vittima di una scoperta sensazionale.
Vincitore del Premio del pubblico al Sundance Film Festival del 1998, questo gioiellino cyperpunk a basso costo di Darren Aronofski (L’albero della vita), girato in un bianco e nero sgranatissimo di forte suggestione e montato come un videoclip, finisce con il coinvolgere ed affascinare lo spettatore, sebbene più di un dettaglio alla prima visione possa sfuggire allo spettatore medio. Inevitabile qualche forzatura nella sceneggiatura: il protagonista è – come sempre – un matematico con problemi mentali e comportamentali; la matematica è la chiave di decodifica del mondo che porta gravi danni a chi (ab)usa di essa. Musiche adeguate.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: I

Mio fratello è figlio unico


Un bildungsroman che vede Accio  (Elio Germano, ottimo), ragazzino della Latina degli anni ‘60, passare dalla fede cattolica a quella fascista e poi a quella comunista, spinto dal fratello operaio e dongiovanni (Riccardo Scamarcio) e attratto da una delle sue ragazze (Diane Fleri).
Uno dei migliori film italiani degli ultimi anni con giovani protagonisti, ma non per questo stupidamente giovanilistico: si tratta di una commedia drammatica dall’ampio target di pubblico. La regia di Daniele Luchetti (La scuola) lascia il segno, grazie all’uso della voce fuori campo del protagonista e per una fotografia che adotta la cinepresa a spalla, che ben rende la dinamicità ed irrequietezza della vita interiore ed esteriore dei personaggi. È evidente poi l’affetto ed il rispetto per i personaggi: tutti, anche se sullo schermo per poco, si fanno ricordare: dal prete interpretato da Ascanio Celestini, al venditore di panni e mentore fascista Luca Zingaretti, alla sofferente madre Angela Finocchiaro. Magari gli eventi rivoluzionari di quegli anni sono inquadrati senza che siano davvero spiegati i motivi per cui fanno presa su Accio, ma questo è un problema che spunta a visione già avvenuta. Liberamente tratto dal romanzo Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: I

venerdì 16 novembre 2007

Bobby

La lunga notte delle elezioni presidenziali americane del 1968, vista dall’albergo Ambassador, sede dei democratici, e dalla varia umanità lì di passaggio. E’ la cronaca di un sogno infranto, quello di chi sperava che Bob F. Kennedy salisse al potere battendo il senatore McCarthy, ponendo fine alla carneficina del Vietnam, che mieteva le sue vittime fra la gioventù americana. Ma il tutto è pronto ad essere letto come parafrasi della nostra contemporaneità.
La narrazione prosegue passando da una microstoria ad un’altra: ognuna è più o meno legata alla speranza di un cambiamento in positivo della società dell’epoca; la colonna sonora Mark Isham funge da collante. Notevole l’ultima parte del film, con la sequenza dell’attentato e con il discorso del compianto Bobby che sottolinea il contrasto tra la brutalità del presente e la luminosità di un futuro smarrito per quei colpi di pistola esplosi su di lui e sulla folla. Il cast, straordinario, comprende Harry Belafonte, Laurence Fishburne, Heather Graham, Anthony Hopkins, Helen Hunt, Shia LaBeouf, Lindsay Lohan, Demi Moore, Martin Sheen, Christian Slater, Elijah Wood, William H. Macy. Spiccano perticolarmente le interpretazioni di una mesta e insolita Sharon Stone parrucchiera e quella di Freddy Rodriguez nei panni di un cameriere appassionato di baseball.
Il regista, Emilio Estevez (figlio di Martin Sheen – vero nome Ramon Estevez) dirige con competenza e invisibilità; appare in una delle prime scene con un cagnolino in braccio e lo si vede sporadicamente lungo la pellicola. Ottima la fotografia “naturalistica” di Michael Barret, che evita i consueti colori pop anni ’60: la storia narrata proprio non li richiede.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: I

giovedì 15 novembre 2007

The Dentist 2

Il dottor Feinstone (il bravo Corbin Bernsen, anche produttore) riesce ad evadere dal manicomio criminale di Los Angeles ove era stato rinchiuso al termine del primo capitolo. Ora, sotto falso nome giunge a Paradise, cittadina della provincia americana e prende il posto dell’inetto dentista del luogo: inizialmente riesce a reprimere le sue vecchie tendenze omicide, anche incoraggiato dalla vicina biondina; poi, provocato da un paziente logorroico e vanitoso (simile ai clienti falsi e ricchi della sua odiata clientela losangelina), inaugura una serie di atroci torture a base di trapanazioni gratuite e di estrazioni a crudo. Finale aperto di taglio demenziale.
Il seguito del primo Dentist (1996), superiore ad esso, si configura come un horror incentrato sul tema della repressione delle tentazioni e sul loro progressivo cedere ad esse: il dentista folle, vittima di un tradimento sentimentale, prova a controllarsi attraverso l’autolesionismo. Ma provocato continuamente dai concittadini, finirà col vendicarsi distruggendo le loro cavità orali, dalle quali non provengono altro che pettegolezzi e malignità.
Il regista Yuzna continua lungo la strada della critica sociale impregnata di efferatezze audiovisive (Make-Up FX di John C. Ferrante, e ottimi effetti sonori), anche se qui non si vola alto come in Society – The Horror, che resta il modello di base a livello di struttura narrativa, e dal quale recupera alcuni volti. Musiche non all’altezza.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: A

sabato 3 novembre 2007

The Descent - Discesa nelle tenebre

Sei atletiche e giovani amiche si riuniscono annualmente per compiere spericolate imprese sportive. A un anno di distanza dall’ultimo incontro, a base di rafting, decidono di esplorare un complesso di grotte al di sotto dei Monti Appalachi (USA), sperando anche che una di loro, Sarah, riesca a metabolizzare la morte di suo marito e di sua figlia, risalente proprio a un anno prima.
Questa cupissima pellicola di Neil Marshall, britannico di talento, è uno dei migliori horror degli ultimissimi anni. All’inizio dominano la tensione e l’oscurità avvolgente: lo spettatore è, come le giovani, costretto a procedere in un ambiente sconosciuto. E qui il regista si dimostra abilissimo nello sfruttare l’innata paura del buio e la claustrofobia presenti in ognuno di noi. Nella seconda parte, oltre ai vari contrasti fra le donne, dagli esiti clamorosi, fanno la loro comparsa degli ominidi viscidi, ciechi e affamati, con sanguinose conseguenze.
Il film ha più di un motivo di pregio: ha un cast insolitamente tutto al femminile; si distacca nettamente dagli eterei horror asiatici attuali scegliendo la concretezza (o meglio l’onestà) nel mostrare l’orrore; presenta trovate visive; non è un teen horror modaiolo.
Gli esterni sono stati girati in Scozia, mentre le grotte sono tutte ricreate in studio (ma nessuno lo direbbe). L’uso del digitale è misurato, impercettibile e funzionale.

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VISIONE CONSIGLIATA: A