martedì 29 dicembre 2015

Posh


Giovani, aitanti, ricchi e viziati, otto studenti di Oxford appartengono al Riot Club ("Un nome, un programma" verrebbe da dire), elitaria brigata di gentaglia in doppiopetto il cui scopo risiede nello spalleggiarsi a vicenda per nascondere amoralità assortite. Goliardate ora, malaffari in futuro. Poiché non può iniziare un anno accademico senza che si sia in dieci, il gruppo trova altri due bei soggetti da circuire: Alistair (Sam Clafin) e Miles (Max Irons, quasi un gemello di Robert Pattinson). Il primo vanta un fratello leggendario ex membro, l'altro invece ci entra attirato dalle prospettive di successo. Il che condurrà entrambi a due estremi, con inevitabili cambiamenti per la vita futura."Sono stufo marcio delle persone povere!". Il non-senso di Posh potrebbe riassumersi con questa battuta, pronunciata dal più irritante dei personaggi del film. Diretta dalla danese-britannica Lone Scherfig, l'adattamento cinematografico dell'omonima piéce teatrale di Laura Wade - autrice anche della sceneggiatura - è una pellicola sbiadita, come la fotografia di Sebastian Blenkov. Cosa aggiunge di nuovo Posh sui rapporti tra upper class e resto del mondo? Nulla, e lo fa anche con poca convinzione. "Sono tutti uguali" vien detto di loro da un comune mortale, e in effetti alcuni di loro si assomigliano anche somaticamente, accomunati dall'idea che siano denaro e sesso a dettar legge. Ma al di là dei luoghi comuni sputati tra fiumi di alcol e volgarità assortite (tipo: 'grazie all'utopia laburista i poveri fanno i debiti per essere come noi'), non resta granché. Forse solo la gattopardesca inquadratura finale. Prodotto dalla 'spregiudicata' rete Channel 4.
PS "Posh" significa sia "snob" che "chic".

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: A

mercoledì 12 agosto 2015

Lo sciacallo


Los Angeles. Il disadattato Lou Bloom (Jake Gyllenhaal) per vivacchiare rivende oggetti rubati. Ma la fama di ladro lo precede non riesce a trovare un lavoro. Una notte, su strada, s'imbatte in degli operatori tv all'opera e da quel momento in poi decide di darsi all'attività di videoreporter di cronaca nera. Trovando nella direttrice di un tg locale (Rene Russo) terreno fertile per la propria nascente attività. Che niente e nessuno potranno ostacolare.
Dan Gilroy, fratello del più famoso Tony (Michael Clayton; The Bourne Legacy) esordisce in maniera folgorante con questo noir metropolitano che sembra nato da una costola di Collateral (2004), thriller col quale condivide ambientazione e autore della colonna sonora (James Newton Howard). Il protagonista, follemente determinato a battere la ben più attrezzata concorrenza, è l'emblema vivente del peggiore giornalismo tanto in voga oggi, vicino alla gente più per fiutarne l'odore del sangue che non per amplificarne la voce. Lou si presenta dicendo di non avere una formazione standard e di essersi acculturato solo attraverso il web: credenziali non proprio invidiabili per chi voglia trovare un lavoro così delicato. Eppure, in virtù del ciarpame sottoculturale di cui è imbottito - continuamente propinato ai suoi interlocutori - riesce a manipolare chiunque e a 'vendersi' molto bene. Spiantato, cupo e misantropo, Lou è quasi il corrispettivo del Joker del Cavaliere oscuro (2008) traslato nel mondo dell'informazione televisiva, perversamente veicolato dalla voglia di affermarsi. Quando è in scena con Rene Russo, sembra che lei stia parlando col lato oscuro della propria coscienza - o con il diavolo - più che con un suo simile. Simile che, peraltro, non é, dato che "non gli piace la gente". Irritante quanto si vuole, Lou è il perno di questo film spesso sgradevole, di certo necessario. Compatto, scritto con grande attenzione ai dettagli, vanta una regia sobria eppur attenta a dare il giusto peso agli elementi di azione, con un crescendo drammatico ineccepibile, che consente alla dimensione satirica di emergere pian piano sino a esplodere nel finale. Un fiume carsico che sarà forse sfuggito ai molti spettatori che speravano di vedere un thriller convenzionale.
Dimagrito di dieci chili e dallo sguardo spiritato, Gyllenhaal è memorabile. Ottime anche le musiche di Newton Howard e la fotografia di Robert Elswit. Per l'American Film Institute è il miglior film dell'anno.
PS Il titolo originale Nightcrawler significa sia "ruffiano notturno" che "essere che striscia nella notte". Proprio come il biblico serpente, che qui sa quali mele scintillanti porgere ai piani alti delle redazioni. Per il male dell'intera umanità.

CRITICA: ****

VISIONE CONSIGLIATA: I


martedì 4 agosto 2015

Rottweiler



Cosa sarebbe accaduto se Terminator non avesse avuto sembianze umane, ma quelle di un cane? A questa assurda domanda prova a rispondere Bryan Yuzna (SocietyIl ritorno dei morti viventi 3), maestro filippino dell'horror truculento e fantasioso con questo film di serie C. Ambientato nella Spagna distopica del 2018, ha per protagonista Dante (William Miller), un americano che entra illegalmente nella nazione con la fidanzata. Catturato, riesce a evadere da una prigione di massima sicurezza e va in cerca dell'amata, sforzandosi di ricordare la sequenza degli eventi che l'hanno condotto fin lì. Sulle sue tracce c'è un instancabile rottweiler cibernetico, metà animale e metà robot.
Com'è evidente, le premesse non sono buone: un contesto futuristico abbozzato, un orrido cane bavoso con gli occhi luminosi e le zanne metalliche, carcerieri sadici oltre ogni limite. A condire il piatto s'aggiungono una prostituta ex tossica e una bambina che così come entra nella sceneggiatura, ne esce. La struttura a flashback inizialmente incuriosisce e sembra dare sostanza alla trama, ma alla lunga non riesce a nasconderne le falle. Non mancano le tradizionali dosi di effettacci, così come una dimensione romance insolitamente marcata per il genere. Ma il protagonista - quasi un Brad Pitt dei poveri - è cane quanto la sua nemesi: vederlo correre e urlare nudo tra la macchia mediterranea è abbastanza imbarazzante. Per non parlare poi di quella povera bestiaccia rattoppata col prosthetic make up e il digitale low cost.
Peccato per Yuzna: a differenza delle sue perle di molti anni prima, Rottweiler abbaia ma non morde. Sbava soltanto.

CRITICA: *1/2

VISIONE CONSIGLIATA: A

venerdì 31 luglio 2015

Locke


Lo stimato capocantiere Ivan Locke chiude la giornata di lavoro. Si toglie gli scarponi, sale in auto e si dirige verso Londra. Una volta a bordo, con una serie di telefonate prova a ricomporre la propria vita che sta andando in frantumi. Mentre lo spettro del padre defunto aleggia su di lui.
Se fosse uno sceneggiato radiofonico della Bbc non sarebbe male. Peccato che Locke si proponga come l'ennesimo film da camera, tutto dialoghi e istrionismo attoriale. Tom Hardy sarà stato sicuramente felice di sfoggiare una prestazione decisamente convincente. Meno felice è lo spettatore, bloccato ("locked") come il protagonista in una notte senza vie d'uscita, costretto dalla regia claustrofobica di Steven Knight a sorbirsi una telefonata dopo l'altra, con le inquadrature che giostrano tra lo schermino del navigatore, lo specchietto retrovisore e i riflessi sul parabrezza. Nulla di nuovo sul grande schermo, tutto prevedibile, come le tante dichiarate specularità, tra cui quelle con l'inetto padre e il sorprendente calciatore Caldwell, che in una notte prende a calci la fama di schiappa che l'ha sempre accompagnato.
Verrebbe da chiedere al regista Joe Wright (Orgoglio e prediudizio; Espiazione) perché abbia prodotto per il cinema questo film cieco: la televisione sarebbe stata più che sufficiente.

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: I

martedì 2 giugno 2015

Scene memorabili: Ghostbusters - Acchiappafantasmi







Film di paura? No. Ghostbusters - Acchiappafantasmi (1984) è una commedia oggetto di culto da trent'anni buoni. Come in tanti altri titoli dello stesso genere, la trama non è 'forte': contano le atmosfere, le battute, le situazioni. Qui proponiamo tre scene esemplificative, tra le tante che hanno reso celebre questa pellicola.

venerdì 29 maggio 2015

Visioni gratuite: Kung Fury



Ecco finalmente il delirante, demenziale mediometraggio d'azione del filmmaker svedese David Sandberg. Un viaggio negli anni Ottanta filtrati dalla memoria collettiva e dal videotape, in cui nessun limite di buon gusto è contemplato.
NB I sottotitoli in italiano in realtà sono in spagnolo: dopotutto, più che di dialoghi, trattasi di battute che nemmeno il peggior Stallone osava pronunciare. Anche per chi non dovesse avere grande confidenza con l'inglese la visione non dovrebbe costituire un problema... Buona immersione!

mercoledì 27 maggio 2015

Scene memorabili: American Psycho


La celebre scena dello scambio dei biglietti da visita di American Psycho (2000), diretto da Mary Harron. Uno dei momenti più riusciti del film, che bene evidenzia l'ossessione per l'esteriorità del protagonista yuppie, emblema vivente del vuoto pneumatico degli anni Ottanta.

giovedì 14 maggio 2015

Need For Speed


Era il 1994 quando la canadese Electronic Arts pubblicò The Need For Speed, primo capitolo della tanto celebre quanto longeva serie di videogiochi di corse automobilistiche. Nato dalla collaborazione col magazine Road & Track (una sorta di Quattroruote americano) e caratterizzato da immagini e suoni di grande realismo, consentiva ai giocatori di guidare auto da sogno in suggestive località rurali o urbane. Dopo vent'anni e venti episodi, è giunto nelle sale l'adattamento cinematografico, coprodotto dalla Dreamworks. Un'operazione meno semplice del previsto, perché a complicarne la genesi aveva provveduto la saga cinematografica di Fast & Furious, nata nel 2000. Questa, pur mai ispirandosi al videogioco, aveva finito per influenzarlo e quasi snaturarlo, come dimostrano i vari Need for Speed: UndergroundNeed for Speed: Undercover e simili, basati su corse clandestine notturne ambientate in grigi scenari metropolitani. Aberrazioni fortunatamente evitate dai capitoli successivi, che hanno recuperato lo spirito delle origini. Proprio come Need for Speed: The Run del 2011, al quale si rifà in parte la sceneggiatura di George Gatins (candidato all'Oscar per Flight di Robert Zemeckis). L'esile trama del gioco prevedeva che il protagonista vincesse una folle corsa a tappe da Los Angeles a New York, braccato da polizia e mafia - oltre che da avversari scorretti. Nel film il meccanico/pilota Tobey Marshall (Aaron Paul, ai più noto per la serie Breaking Bed) gestisce l'officina di famiglia insieme ai suoi amici. Dopo la morte del padre gli affari vanno male e l'occasione presentatagli dall'odioso Dino Brewster (Dominic Cooper) - un tempo compagno di classe e ora pilota professionista - potrebbe rimpolpargli il conto in banca: ricostruire una Ford Mustang che il leggendario Carroll Shelby lasciò incompleta. A sovrintendere il tutto, l'ex pilota/demiurgo Monarch (un istrionico Michael Keaton). Da qui avrà avvio una serie di pericolose peripezie ad alta velocità.
Alla regia c'è lo stunt coordinator di lungo corso Scott Waugh, che ha garantito qualità alle riprese delle corse, quasi del tutto prive di effetti digitali. Un'ottima scelta, poiché le immagini instabili restituiscono tutte le asperità dell'asfalto (cosa che era mancata in Rush di Ron Howard: l'unica pecca del film). A zoppicare, com'era prevedibile, è lo script, pieno di buchi e di incongruenze. Gatins (il cui fratello John fa una comparsata) non è riuscito a salvare il film dall'usurato impianto de Il fuggitivo con Harrison Ford, con alcuni riferimenti al videogioco (la taglia sul protagonista, le ambientazioni, le auto extralusso), al cinema di genere (Steve McQueen sullo schermo del drive in) o persino autoreferenziali (i dvd di Act Of Valor e di Real Steel). Il pubblico di riferimento si divertirà nel veder sfrecciare la Bugatti Veyron V6 in riva all'oceano, ma potrebbe non gradire il tono del film quando vira verso il demenziale, il che avviene spesso quando è sono in scena gli amici del protagonista. Una nota di merito va all'inglesina Imogen Poots (28 settimane dopo), che si dimostra a suo agio in un ruolo brillante.
In conclusione: con Need For Speed si respirerà pure l'odore della strada, ma l'ingombro di una sceneggiatura annacquata potrebbe far venir voglia di mettersi al volante virtuale.

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: I

martedì 5 maggio 2015

Avengers - Age Of Ultron


Al termine degli eventi narrati in Captain America - The Winter Soldier, lo Shield - minato dalle infiltrazioni paranaziste dell'Hydra - è stato smantellato. I Vendicatori hanno riparato nella torre di Iron Man, ribattezzata Avengers Tower. Tony Stark (Robert Downey Jr.), temendo catastrofiche guerre future, ricorre allo scettro di Loki per mettere a punto "un'armatura per il mondo intero", combinandone l'insita intelligenza con quella artificiale della sua armatura. Nasce così Ultron (James Spader), il quale, conscio della natura violenta dell'umanità, decide di sterminarla, coadiuvato da due nuovi misteriosi personaggi: i fratelli Wanda e Pietro Maximoff (Elizabeth Olsen e Aaron Taylor-Johnson).
Alla seconda regia nell'universo cinematografico Marvel, Joss Whedon non ripete la prova convincente di Avengers, successo globale di tre anni prima (terzo maggiore incasso di sempre della storia del cinema). Sarà per l'eccesso di personaggi da gestire, sarà per il voler adottare a tutti i costi una formula differente, resta che il risultato è decisamente disomogeneo (date anche le tante ambientazioni: Germania, Stati Uniti, Sudafrica, Corea del Sud e l'immaginaria Sokovia). All'epoca si puntò a una solida struttura in tre atti (quasi delle macro-scene), permettendo ai personaggi di conoscersi e farsi conoscere, concedendo poi spazio all'azione. Stavolta, se si eccettua lo scontro finale, il regista-sceneggiatore pare a disagio con le scene d'azione, in particolar modo con quella tra Iron Man e Hulk. La storia ci mette non poco a carburare, nonostante sia condita da battute brillanti e da momenti di alleggerimento tutto sommato riusciti. In particolar modo, non convince l'uso esagitato della cinepresa, che in alcune sequenze pare ricordare - e questo è un male - L'uomo d'acciaio (2013) di Jack Snyder. Il montaggio, particolarmente serrato nelle scene d'azione, mal si concilia con il 3D. Anche gli effetti visivi a volte non sembrano all'altezza delle aspettative. Le musiche firmate dal bravo Bryan Tyler purtroppo stavolta deludono, risultando una pallida copia di quelle originali di Alan Silvestri (nonostante quelle addizionali portino, peraltro, la firma del grande Danny Elfman). Che dire poi di Thor, quasi ridotto a una comparsa di lusso? Tutti esiti, questi, del continuo braccio di ferro con la produzione. Non a caso Whedon ha dichiarato che non dirigerà più alcun capitolo all'interno dell'universo Marvel, non nascondendo una punta di rimpianto circa un'eventuale regia per il futuro Spider-Man. Gli incassi, comunque, hanno reso felici tutti. Di buono resta il maggior spazio concesso alle linee narrative di Vedova nera (Scarlett Johansson) e Occhio di falco (Jeremy Renner), oltre a un Bruce Banner (Mark Ruffalo) di toccante umanità, soprattutto quando è nei panni del suo alter ego verde.  
A proiezione finita ci si sente sazi, consapevoli però che il banchetto allestito da Whedon nel 2012 fosse più saporito: stavolta non si è poi così lontani dal kebab che all'epoca i Vendicatori consumavano, esausti, nei titoli di coda.

CRITICA: **1/2


VISIONE CONSIGLIATA: T

venerdì 1 maggio 2015

Magic In The Moonlight


Berlino, 1928. Stanley Crawford (Colin Firth), illusionista di fama mondiale, viene invitato dall'amico e collega Howard Burkan (Simon McBurney) a trascorrere una breve vacanza in Provenza. Con un obiettivo: smascherare la sedicente sensitiva Sophie Baker (Emma Stone) - bella, giovane e povera - sul punto di sposarsi col facoltoso pollo Brice (Hamish Linklater). La trama del 47esimo lungometraggio di Woody Allen è tutta qui. Ma basta ciò a qualificarlo come un film inconsistente, accusa mossa dai detrattori? Inficiato da qualche momento ripetitivo o di stallo, è valorizzato dalle ottime prestazioni dei due protagonisti e strappa più di un sorriso con alcune immancabili battute brillanti.
Vero cuore del film è il contrasto tra illusione e razionalità, incarnato dai due protagonisti. Il prestigiatore Crawford è - a dispetto del proprio mestiere - estremamente cinico, razionale e sarcastico. Vive di magia in un mondo che ne è privo. Sophie invece - pur disposta a cedere al fascino dei soldi - è convinta che non si debba credere (solo) a ciò che si vede: è lo sguardo a essere determinante. La morale è che un'esistenza senza un pizzico di mistero sarebbe triste e insensata. E uno dei misteri necessari è quello dell'amore. Una lezione che lo stesso Allen - pur essendo ateo convinto - impartisce allo spettatore grazie alla strepitosa fotografia panoramica del franco-iraniano Darius Khondji (Seven). Chi non sarebbe felice di trovarsi in una Costa Azzurra dai colori pastello in compagnia della persona amata?
Danneggiato da un battage pubblicitario insolitamente pervasivo, Magic In The Moonlight è costato 14 milioni di dollari e ne ha incassati solo 10 negli Stati Uniti: l'ennesimo flop in casa. Eppure globalmente ne ha incamerati 32. Come sempre Allen dimostra di essere più amato nel Vecchio Mondo che nel Nuovo.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: T

mercoledì 18 marzo 2015

Walking On Sunshine


E’ stata definita una delle canzoni più allegre di sempre: sono anni che "Walking On Sunshine" dei Katrina & The Waves troneggia nelle classifiche dei brani che mettono di buon umore. Ma come se non bastasse, d’ora in poi sarà anche il titolo di questo film girato e ambientato in Italia. Prodotto dalla britannica Vertigo Films e dall’italiana Eagle Pictures, è stato fortemente voluto dalla Apulia Film Commission, che è riuscita a sottrarlo a una produzione in Spagna e di cui resta traccia nella scena di una battaglia con i pomodori (impropriamente chiamata "sagra").
Diretto dalla solida accoppiata Max Giwa e Dania Pasquini – che ha all’attivo i due StreetDance e numerosi videoclip – è un musical dalla colonna sonora interamente pop anni Ottanta. Oltre al celebre pezzo del titolo, la pellicola vanta – tra le tante – hit di Madonna, Duran Duran e Cindy Lauper. Brani sempre più frequenti quanto più ci si avvicina al finale: nel terzo atto, sproporzionatamente lungo, quasi soffocano i dialoghi.
Come per ogni musical che si rispetti, alla base c’è una storia d’amore: Maddie (Annabel Scholey), reduce da una relazione finita con l’eterno bambino Doug (Greg Wise), sta per sposarsi in Salento con l’italiano Raf (Giulio Berruti, unica presenza tricolore sulla locandina). Al matrimonio non può mancare la sorella Taylor (Hannah Arterton, sorella minore della più famosa Gemma Arterton), che scopre che lo sposo è il ragazzo col quale era stata tre anni fa. E che ama ancora.
Sulle prime il film potrebbe sembrare un Mamma Mia! girato tra Nardò, Porto Selvaggio, Lecce e l'aeroporto di Bari, ambientato anch'esso al giorno d'oggi. Dell'epoca passata restano solo suggestioni: un vecchio taxi in apertura, i party d'addio al celibato a tema, i costumi nel finale. La trama però, pur traendo spunto da un matrimonio da farsi, è purtroppo ancor più esile: lì andava scoperto chi fosse il padre della sposa, qui se la sorella della sposa sia ancora innamorata del futuro cognato. Inoltre, a differenza del prototipo, non vanta un cast stellare, nonostante la presenza della cantante Leona Lewis. E i personaggi di contorno sono davvero labili.
Quel che è certo è che Walking On Sunshine dà grande visibilità alla Puglia. Non è un caso che sia stato ampiamente pubblicizzato nel Regno Unito dal roadshow di Pugliapromozione, con tanto di première alla londinese Leicester Square presenziata dal presidente della Regione, Nichi Vendola. 
A rendere ancor più virale l’uscita del film ha contribuito il lancio dell’hashtag #WeAreInPuglia, battuto dalle pagine social ufficiali.
In sostanza: 97 minuti senza pensieri al ritmo delle sempreverdi hit d'un tempo, incorniciate da fotografia e montaggio appropriati.
PS La domestica della villa che ospita i protagonisti è Tiziana Schiavarelli, noto volto dei palcoscenici e dei piccoli schermi pugliesi; Enrico, il ragazzo della Lewis, è Giulio Corso di Squadra antimafia; il prete è il leccese Andrea Coppola.

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: T


giovedì 19 febbraio 2015

Whiplash


Al prestigioso Shaffer Conservatory di New York s'istruisce la crème del futuro della musica. Ma a occuparsi del meglio del meglio c'è Terence Fletcher: veste come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now e sbraita come il sergente Hartman di Full Metal Jacket. "Non esistono in qualsiasi lingua del mondo due parole più pericolose di bel lavoro" è il suo motto. Per questo spreme gli allievi da lui stesso selezionati, portandoli al limite della sopportazione fisica e mentale per scoprire se tra di loro si nasconde il prossimo "grande", colui che ripercorrerà la strada che trasfigurò Charlie Parker in "Bird".
E' una storia di formazione lacrime e sangue quella scritta e diretta da Damien Chazelle, 30enne al suo secondo lungometraggio. Distribuito dalla Sony Pictures Classics, costato poco più di tre milioni di dollari, Whiplash si stacca nettamente e sotto molti aspetti dalla produzione mainstream americana. Già il fatto che il protagonista - che ha il volto d'altri tempi del 27enne Miles Teller - voglia diventare il più grande batterista jazz, la dice lunga. Eppure la trama, costellata di cattiverie e di colpi di scena, coinvolge e appassiona: siamo più dalle parti di un thriller che di un college movie, supportato da un montaggio - estremamente tagliente di Tom Cross - che non dà tregua, pur non scadendo mai nell'estetica da videoclip. Quando gli ensemble s'accingono a suonare sembra di vedere eserciti pronti a combattere (Chazelle ha poi confermato che il suo intento era di dare lo stesso senso di dinamismo).
Molti addetti ai lavori si sono lamentati: per quanto il film sembri descrivere accuratamente quel mondo (vedi le antipatie tra studenti), in realtà lo tradisce: Parker non divenne grande (solo) perché era veloce; gli insegnanti violenti non sono i più quotati; la dimensione muscolare della performance non è la più importante. Whiplash, però, non è solo questo. Non manca una stilettata alle famiglie a stelle e strisce: può, in una chiacchierata a tavola tra parenti, entusiasmare più un quarterback di terza categoria che non il batterista più promettente della nazione? Il padre di Andrew è una figura positiva, ma debole. Neanche le ragazze ne escono benissimo: per quanto gentili, sono anonime, evanescenti, opportuniste. Chi davvero polarizza la vita di Andrew è Fletcher, interpretato da uno J.K. Simmons che finalmente riesce a prendersi sul grande schermo tutto lo spazio che merita. Fa quasi impressione ritrovare il caricaturale direttore del "Daily Bugle" di Spider-Man (2002) nei panni di un maestro luciferino, sboccato e manipolatore. In più di un'occasione pare quasi solo un teschio che emerge dal buio. Chiedendogli di rappresentare "un mostro, un gargoyle, un animale", Chazelle - pur lasciandogli grande libertà durante le riprese - lo ha modellato sull'istruttore che aveva a fine liceo, responsabile di aver costituito un clima di "puro terrore" nella jazz band scolastica. Teller, con un passato di batterista rock amatoriale, s'è calato perfettamente nella parte, sottoponendosi a una full immersion. Solo in qualche inquadratura le sue mani sono rimpiazzate da quelle di una più esperta controfigura. Gli altri suonatori del film sono professionisti e veri studenti di musica: le loro reazioni, sul grande schermo, non mentono. Tutte scelte vincenti.
Cinque nomination agli Oscar 2015 (di cui tre vinti: attore non protagonista, montaggio e suono). Simmons pluripremiato, dai Golden Globes ai Bafta. Presentato fuori concorso a Cannes 2014.
PS Whiplash è un brano di Hank Levy e significa "frustata".

CRITICA: ****

VISIONE CONSIGLIATA: I

martedì 10 febbraio 2015

Visioni gratuite: Come alieni - Gli albanesi nel cinema dal 1991 a oggi

Viviamo nell'era della liquidità: possediamo (potenzialmente) tutto senza avere (materialmente) nulla.

Un siffatto panorama è caratterizzato da tanti pro e contro: se è più facile ascoltare un disco appena uscito (ad esempio, su Spotify), allo stesso tempo si può rischiare si svalutarne la 'sacralità'. Un supporto pagato con moneta sonante lo si rispetta di più, lo si ascolta più volte, ci si affeziona. Lo stesso andarlo a comprarle, l'aprirlo per la prima volta, sono piccoli 'riti' - un tempo di tutti, ora quasi solo da audiofili - che sembra stiano svanendo a favore di una fruizione spesso randagia e disinteressata.

Evitiamo comunque di essere apocalittici, cerchiamo di vedere i lati positivi della liquidità. L'offerta gratuita di musica e film allarga enormemente il numero di fruitori: basta che questi ultimi si sappiano muovere bene tra discografie e filmografie, magari aiutati da un buon libro.

Inauguro quindi questa sezione del blog con una visione gratuita 'autarchica', cioè con un lavoro fatto - in tutti i sensi - da me medesimo. Come alieni - Gli albanesi nel cinema dal 1991 a oggi è un breve e vivace documentario che ho realizzato l'anno scorso per il Beams, progetto europeo sostenuto dall'Unione Europea per intaccare gli stereotipi riguardanti le minoranze etniche del Vecchio Continente.

Non è stato un lavoro facile da organizzare, vista la portata dell'argomento. Per cui, per essere conciso ed efficace, ho dovuto scegliere solo i titoli più significativi e organici al lavoro. Il mio obiettivo primario era: informare divertendo. O, quantomeno, non annoiando.

Partendo da tale proposito ho realizzato un lavoro che, in pochi minuti, dà un'idea di come siano stati rappresentati gli albanesi nel cinema americano, europeo e italiano dalla 'diaspora' del '91 in poi, cioè dalla caduta del regime comunista.

E' la prima visione gratuita che propongo su BuonCinema, ma ne seguiranno altre in futuro - anche di tipo ben diverso...

Spero che vi piaccia. Buona visione!

Giovanni

venerdì 6 febbraio 2015

"Un look da favola": un concorso per la nuova Cenerentola

Dopo Jack Ryan - L'iniziazione, Kenneth Branagh torna al fantasy (fu lui a firmare Thor, nel 2011). E lo fa dirigendo la versione live action di Cenerentola, la cui protagonista sarà interpretata da Lily James, mentre Richard Madden sarà il Principe Azzurro, Cate Blanchett la matrigna e Helena Bonham Carter la Fata Madrina. La sceneggiatura è di Chris Weitz.


Cenerentola verrà distribuito nelle sale italiane dal 12 marzo. A produrlo la Disney, che per l'occasione ha appena lanciato il concorso "Look da Favola", al quale basterà inviare lavoro artistico (o un disegno, o una fotografia, o un video o una maquette) ispirato al mondo del film. Il vincitore potrà partecipare a un'anteprima europea del film insieme al cast.

Quasi a voler restare in tema, si può partecipare fino alla mezzanotte del 10 marzo 2015 sul sito www.LookDaFavola.it: basta registrarsi e caricare i propri contributi. Questi saranno visualizzabili in una gallery che consentirà agli utenti di votare. La classifica finale deriverà da questi voti e da quelli di una giuria selezionata. Per gli altri piazzamenti non mancheranno premi in arrivo dal Disney Store...

venerdì 23 gennaio 2015

American Sniper


Chris Kyle è un bambino del Texas, tirato su da un padre teocon che gl'insegna che il mondo è popolato da pecore, lupi e cani da pastore. E in casa sua è ammessa solo l'ultima categoria. Quando compie 8 anni, Chris riceve in regalo il suo primo fucile. Da grande, dopo aver visto in tv connazionali morire negli attacchi alle ambasciate in Kenya e Tanzania, si arruola nei Navy Seals: da cowboy perdigiorno che era diverrà il "cecchino più letale della storia americana".
A 84 anni il vecchio Clint torna al war movie. Dopo Flags Of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima, racconta la vera storia di Kyle, col suo solito stile asciutto (e un paio di fronzoli). Accusato - in patria e fuori - di essersi lasciato andare a un becero patriottismo, in realtà Eastwood è nei paraggi di Jarhead e di The Hurt Locker nel rappresentare gli effetti della guerra sulle menti dei soldati, sposando del tutto il punto di vista del protagonista, graniticamente convinto della rettitudine di quel che fa. In questo c'è uno dei grossi difetti del film: il non approfondire il personaggio, che quasi ipnotizzato dai propri ideali ("i nostri lì stanno morendo" ribadisce alla moglie perennemente sola con figlio da svezzare) pare aver perso buona parte della propria umanità nel giorno in cui s'è dato alle armi. Una drogatura da guerra che nella sua mente ha rimpiazzato la famiglia con i camerati, l'Iraq con gli Stati Uniti. Non esattamente una novità. Soprattutto alla luce del fatto che il vero Kyle fosse un "hate-filled killer" ("assassino imbevuto d'odio") come ha fatto notare il giornale britannico Guardian, che ha pubblicato alcuni estratti dell'omonima autobiografia su cui si basa il film. Esternazioni come "non me ne frega un cazzo di niente degli iracheni" e "odio i maledetti selvaggi", condite dalla percezione che uccidere sia "bello" e "divertente", offrono un ritratto del protagonista ben diverso. L'unico momento in cui viene offerto un degno - seppur fugace - controcampo è nell'incontro col fratello. Comunque American Sniper resta una macchina filmica che funziona benissimo, teso dall'inizio alla fine e con più di una sequenza emozionante. Due le concessioni stilistiche insolite in film targato Eastwood: con tanto di ralenti, uno degli spari più importanti del film quasi richiama il bullet time di Matrix; i titoli di coda avvolti dalle bandiere a stelle e strisce. Quest'ultima, una nota stonata che dà appiglio alle critiche dei detrattori.
PS Per dirigerlo la Warner Bros aveva inizialmente chiamato Steven Spielberg, che avrebbe dato alla storia un taglio assai diverso, puntando molto sullo scontro a distanza col doppelgänger del protagonista. Quando è subentrato Eastwood - che aveva già letto il libro - lo script è stato drasticamente ridotto e semplificato. 
PPS Molti spettatori americani sono rimasti infastiditi dalla presenza di un bambolotto (acquistabile su Alibaba.com per pochi dollari) preso per impersonare il neonato figlio di Kyle. Come tutti sanno, Eastwood gira i propri film in poche settimane e non s'è smentito nemmeno stavolta (44 giorni). Lo sceneggiatore Jason Hall ha raccontato su Twitter com'è andata: "Odio rovinare il divertimento, ma il bambino vero n. 1 è arrivato con la febbre. Il bambino vero n. 2 non si è presentato. (Voce di Clint) Datemi la bambola, ragazzi".

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 12 gennaio 2015

Golden Globes 2015: l'ultima serata di Tina & Amy (e tutti premi)

La stampa estera a Hollywood ha votato: la 72esima edizione dei Golden Globes s'è conclusa stanotte. I giornalisti iscritti alla Hollywood Foreign Press Association hanno premiato soprattutto film indipendenti, caratterizzati da una forte autorialità, come Boyhood, Birdman e Grand Budapest Hotel.


Più di un pensiero è stato rivolto alla manifestazione parigina di qualche ora prima, indetta per allontanare la paura del terrorismo e difendere la libertà di parola. Tante le star che hanno sfilato sfoggiando il cartello Je suis Charlie.


Anche George Clooney - salito sul palco per ricevere il premio DeMille per l'impegno umanitario - non ha mancato di omaggiare quanti "hanno marciato a sostegno dell'idea che non cammineremo nella paura". Dedicando un dolce pensiero anche alla fresca mogliettina, sposata a Venezia lo scorso settembre: "Amal, qualunque alchimia ci abbia fatto incontrare, non potrei essere più orgoglioso di essere tuo marito".


L'edizione di quest'anno è stata condotta - per la terza e ultima volta - da Tina Fey e Amy Poehler. Che in apertura della serata si son divertite a sbeffeggiare la Corea del Nord (il caso The Interview è ancora caldo): "Meryl, lo sappiamo che ami la Corea, fallo per tutti noi" hanno detto alla Streep che veniva fotografata da Keaton insieme alla comica Margaret Cho. Mentre Cumberbatch si scomponeva per attuare un photobombing...


Altre frecciate sono state dirette - tra gli altri - a Bill Cosby, tornato in auge per l' accusa di aver violentato svariate donne mettendo sonnifero nei drink: "E la bella addormentata pensava di avere preso solo un caffè con Bill Cosby".


Inoltre, a sorpresa è apparso Prince, che ha annunciato quale fosse la miglior canzone.


A proposito di premi, finalmente Kevin Spacey è riuscito a portarne a casa uno (miglior attore per House of Cards): dopo otto nomination a vuoto (I soliti sospetti, American Beauty, Ombre dal profondo, Beyond the Sea, Recount, Casino Jack e la prima stagione di House of cards) ha proclamato: "Questo è solo l'inizio della mia vendetta".

Ecco quindi tutti i Golden Globes riguardanti il cinema (c'erano - come sempre - anche quelli per la tv):

Miglior film drammatico
Boyhood
Foxcatcher
The Imitation Game
Selma
La teoria del tutto


Miglior film commedia o musicale
Birdman
Grand Budapest Hotel
Into the Woods
Pride
St. Vincent


Miglior regista
Wes Anderson - Grand Budapest Hotel
Ava DuVernay - Selma
David Fincher - L'amore bugiardo
Alejandro Gonzales Inarritu - Birdman
Richard Linklater - Boyhood

Miglior attore in un film drammatico:
Steve Carrell - Foxcatcher
Benedict Cumberbatch - The Imitation Game
Jake Gyllenhaal - Lo sciacallo
David Oyelowo - Selma
Eddie Redmayne - La teoria del tutto

Miglior attrice in un film drammatico:
Jennifer Aniston - Cake
Felicity Jones - La teoria del tutto
Julianne Moore - Still Alice
Rosamund Pike - L'amore bugiardo
Reese Whitherspoon - Wild

Miglior attrice in un film commedia o musicale:
Amy Adams - Big Eyes
Emily Blunt - Into the Woods
Helen Mirren - Amore, cucina e curry
Julianne Moore - Maps to the Stars
Quvenzhané Wallis - Annie

Miglior canzone originale:
"Big Eyes" - Big Eyes
"Glory" - Selma
"Mercy Is" - Noah
"Opportunity" - Annie
"Yellow Flicker Beat" - Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 1

Miglior attore in un film commedia o musicale:
Ralph Fiennes - Grand Budapest Hotel
Michael Keaton - Birdman
Bill Murray - St. Vincent
Joaquin Phoenix - Vizio di forma
Christoph Waltz - Big Eyes

Miglior attrice non protagonista:
Patricia Arquette - Boyhood
Jessica Chastain - A Most Violent Year
Keira Knightley - The Imitation Game
Emma Stone - Birdman
Meryl Streep - Into the Woods

Miglior attore non protagonista:
Robert Duvall - The Judge
Ethan Hawke - Boyhood Edward Norton - Birdman
Mark Ruffalo - Foxcatcher
J.K. Simmons - Whiplash

Miglior film in lingua non inglese:
Force Majeure
Viviane
Ida
Leviathan
Tangerines / Mandariinid


Miglior sceneggiatura:
The Grand Budapest Hotel
Gone Girl
Birdman
Boyhood
The Imitation Game


Miglior colonna sonora originale:
Birdman
The Imitation Game
L'amore bugiardo
Interstellar
La teoria del tutto


Miglior film d'animazione:
Big Hero 6
Il libro della vita
Boxtrolls
Dragon Trainer 2
The Lego Movie