domenica 7 dicembre 2008

Nessuna verità

Giordania. Il giovane agente della CIA Roger Ferris (Leonardo DiCaprio) lavora ‘guidato a distanza’ dal suo superiore Ed Hoffman (un Russel Crowe oversize, ingrassato di almeno 20 chili): il suo compito – tutt’altro che facile – è quello di catturare l’anziano capo-terrorista Al-Salim, legato alla rete di Al-Qaeda, fresca autrice di un attentato a Manchester. Ma le pericolose ‘invasioni di campo’ di Hoffman metteranno a dura prova i rapporti tra Ferris ed il capo dell’intelligence giordana Hani (Mark Strong), il quale ha messo i propri agenti a disposizione degli USA.
Dopo la storia del “padrino nero” narrata in American Gangster, Sir Ridley Scott torna a parlare di medio oriente (lo aveva già fatto – seppur con ‘declinazione storica’ – nel 2005 con Le crociate), girando un film che sembra la versione semplificata di Syriana (di Stephen Gaghan, 2005), ma ibridata con due film del suo meno noto fratellino Tony, ovvero Nemico pubblico (vedi le tante riprese satellitari) ma soprattutto Spy Game. Il risultato non è male, ma poteva essere migliore: la sceneggiatura è di William Monahan (The Departed e ancora Le crociate), il che è garanzia di complessità dell’intreccio – e di abuso di telefoni cellulari. Ma qui, se mai, la fonte dei problemi è proprio nel ‘manico’, ovvero nel discreto romanzo Body Of Lies del giornalista del Washington Post David Ignatius, nel quale abbondano stereotipi e banalità sul mondo degli agenti segreti e sui terroristi islamici, oltre a mancare un palpabile climax narrativo ascendente. Comunque, a tenere alta la bandiera (fortunatamente più quella del cinema che non della patria) ci pensano l’impeccabile messinscena targata Scott/Scalia/Witt/Streitenfeld (regia-montaggio-fotografia-musiche) e le ottime performance di DiCaprio – ormai non vi è film in cui non rischi la pelle – e di Strong, l’“Andy Garcia mediorientale”, in realtà londinese. Il caro Crowe, invece, oltre ad eccedere nel peso, eccede in gigioneria. Del tutto accessoria e simpaticamente scontata la liason tra Ferris e la bella infermiera Aisha (G. Farahani). Il titolo originale significa – più bruscamente – “Un mucchio di menzogne”.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: I

mercoledì 3 dicembre 2008

21

Il ventunenne Ben Campbell (Jim Sturgess, quasi un clone di Tobey Maguire, già visto in Across The Universe) è un brillantissimo studente del MIT di Boston, privo però dei soldi necessari per accedere alla prestigiosa facoltà di medicina di Harvard. Un giorno il suo professore di matematica Micky Rosa (un Kevin Spacey gigione) gli fa una proposta ‘che non può rifiutare’, ovvero giocare – insieme ad altri studenti suoi coetanei – a svariate partite di blackjack nei casinò di Las Vegas, facendo uso di un metodo che permette di contare le carte e di incassare un mare di soldi.
Una storia incredibilmente vera già divenuta romanzo bestseller (Blackjack Club di Ben Mezrich) è materia narrativa da commedia-bildungsroman per Robert Luketic (La rivincita delle bionde, Quel mostro di suocera), che rischia però di essere un po’ troppo diluita nelle due ore abbondanti di durata. Fortunatamente la colonna sonora martellante e la ipercromatica fotografia in digitale – per circa ¾ delle riprese – di Russel Carpenter (Titanic) rendono il quadro decisamente accattivante e piacevole anche (e soprattutto) per chi non ha alcuna dimestichezza coi tavoli di velluto verde.
“21” è uno dei modi con cui si può chiamare il suddetto gioco d’azzardo, il più diffuso sul pianeta.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: T

martedì 25 novembre 2008

Gomorra

Napoli. Cinque storie col minimo comune denominatore dell’illegalità nelle orride e degradate “vele” (enormi e labirintici complessi residenziali) nel quartiere suburbano di Scampia e nei suoi dintorni.
Dal lettissimo libro-inchiesta Gomorra - Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra del non ancora trentenne Roberto Saviano, un film crudo e senza fronzoli sullo spietato funzionamento del “Sistema Camorra”, la cui efficienza è talmente elevata da averne esteso le propaggini ampiamente al di là dei suoi confini geografici d’origine. Girato in loco e con molti attori non professionisti, spesso parlato in dialetto stretto e per questo distribuito coi sottotitoli in italiano, il film del romano Matteo Garrone obbliga lo spettatore a compiere una dolorosa full immersion, rischiando talvolta di mettere a rischio la totale comprensione dell’affresco (specialmente per chi non ha mai letto il libro). Magari una sola visione può non bastare per cogliere tutti i dettagli e i ‘collegamenti’ esistenti. Incipit memorabile, fotografia da reportage di guerra (ma in cinemascope), colonna sonora ridotta all’osso (fanno capolino solo alcuni molesti brani dei “neomelodici” oppure musiche house). Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2008. Per Roman Polanski è un segno della rinascita del cinema italiano “che ricorda il neorealismo”.

CRITICA: ***1/2

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 20 ottobre 2008

Paranoid Park

Uno skater sedicenne di Portland – con famiglia disastrata alle spalle – si reca, spinto dal proprio migliore amico, al “Paranoid Park”, malfamato luogo di ritrovo dei suoi ‘compagni di hobby’. Qui finisce col dar retta ad un losco giovane che, per ravvivare la serata all’insegna dell’adrenalina, gli propone di saltare sul vagone di un treno merci in corsa. La tragedia è in agguato.
Gus Van Sant (Elephant; Will Hunting – Genio ribelle), basandosi sul romanzo omonimo di Blake Nelson, sforna un altro film sulla gioventù bruciata, tutt’altro che “bella e dannata”: il protagonista è un ragazzino drammaticamente ‘senz’anima’, privo di un qualsiasi vero interesse. La regia cattura in maniera creativa il disagio del protagonista, optando per inquadrature insolite ma logiche: i genitori – nei pochi momenti in cui sono in scena – sono sempre ripresi di spalle, oppure fuori fuoco o addirittura fuori campo. Inoltre, la narrazione è coerentemente frantumata in passaggi ridondanti che preannunciano il disastro. Appaiono invece un po’ gratuite le sgranate riprese in super8 degli skater in azione: una messa in scena della loro “insostenibile leggerezza dell’essere”? Comunque, in questa grigissima storia sull’horror vacui adolescenziale, a lasciare il segno è la durissima e fulminea sequenza – davvero degna di un film horror – dell’incidente ferroviario, giustamente raccapricciante.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: A

sabato 11 ottobre 2008

Toro scatenato

Ascesa e caduta – all’insegna dell’autodistruzione – (1941-1964) del pugile italoamericano Jake LaMotta (Robert DeNiro, col naso posticcio), campione del mondo dei pesi medi, perennemente affiancato dal proprio fratello/manager Joey (Joe Pesci), continuamente provocato dai suoi “amici” mafiosi del Bronx e pessimo marito della bionda Vicki (Cathy Moriarty).
Proposto dallo stesso DeNiro a Scorsese in un momento di ‘secca’ creativa di quest’ultimo, il soggetto si basa sulle memorie del pugile (anche consultant durante le riprese): il risultato è una delle migliori collaborazioni tra i due illustri italoamericani. Toro scatenato è un vero e proprio saggio di regia, come mostra il magistrale uso dei tanti ralenti, dei suoni deformati, delle musiche (d’epoca o operistiche), e la dinamica fotografia – di Michael Chapman (Taxi Driver) – in B/N e in colore, insieme al montaggio di Thelma Schoonmaker. DeNiro è straordinario nel disegnare il proprio sgradevole, violento, rude, possessivo e paranoico personaggio; Pesci lo affianca degnamente. E non manca il marchio di fabbrica del vero Scorsese: la violenza. Non nascosta, ma anzi mostrata con piglio ‘clinico’, è presente sul ring, nelle strade, in famiglia e nei dialoghi. 2 soli Oscar 1980 su 8 nominations: montaggio e DeNiro miglior attore protagonista (che addirittura ingrassò di una trentina di chili per interpretare il pugile negli anni del declino). VM 14 anni.

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VISIONE CONSIGLIATA: A

giovedì 2 ottobre 2008

Sacco a pelo a tre piazze

Walter “Gib” Gibson (un John Cusack diciannovenne) è una matricola in un college del New England, inutilmente attratto da una collega antipatica e snob, l’algida Alison (Daphne Zuniga, già vista nell’atroce La mosca 2). Annoiato dalla freddezza dell’ambiente (“navigo in un mare di disperazione”), accetta l’invito del suo caro amico di liceo Lance (Anthony Edwards, “Ciccio” Greene in ER), matricola in California: una biondina (Nicollette Sheridan) – chiamata da quest’ultimo “botta sicura” (la Sure Thing del titolo originale) – lo attende. Ma un problema sorge a viaggio appena iniziato, dal momento che lo stesso percorso deve compierlo anche Alison, che non vede l’ora di riabbracciare il proprio amato Jason, aspirante avvocato.
Simpatica commedia giovanilistica in forma di road movie targata Rob Reiner, autore del ben più noto Harry ti presento Sally, meno stupida di quello che può sembrare, per quanto il finale sia telefonatissimo. La sceneggiatura è incentrata sulla reciproca conoscenza, che anche tra persone incompatibili (o apparentemente tali) finisce col dare frutti utili alla conoscenza di sé. Un esempio di come una produzione per ragazzi non debba necessariamente sfociare nella melensaggine o nella volgarità pecoreccia. Un’innocua chicca che fa respirare l’aria degli anni ’80.

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: T


lunedì 22 settembre 2008

La leggenda di Beowulf

Danimarca, VII sec. d.C.. Il re Hrothgar (Anthony Hopkins) ed il suo popolo non sopportano più gli attacchi dell’orrido mostro Grendel, divoratore di uomini. Il prode Beowulf (Ray Winstone) giunge in loro soccorso, ma un suo madornale errore – indotto dalla madre del mostro (Angelina Jolie) – segnerà per sempre il suo futuro.
Dopo Polar Express – ritenuto dalla maggior parte della critica come uno spreco di fatica e di tecnologie – Bob Zemeckis ‘ci riprova’, girando un altro lungometraggio di animazione digitale. L’animazione in senso stretto, però, si giova in maniera integrale della recitazione degli attori in carne ed ossa (persino a livello di sguardo ed espressioni facciali): stiamo quindi parlando di performance capture, grazie alla quale di digitale vi è solo l’aspetto del film. Persino i movimenti di macchina sono spesso manuali. Inoltre, il fatto che esso sia stato distribuito in molte sale in 3D – ma non più coi cari vecchi occhialini di cartone – spiega perché vi siano così tante inquadrature ‘estreme’ (lance che sfiorano cornee, frecce in volo seguite quasi in soggettiva, e così via). L’esperienza visiva è di notevole impatto, per quanto i volti femminili – meno ben fatti di quelli maschili – tendano ad apparire ‘di plastica’. La sceneggiatura di Neil Gaiman (Stardust) e Roger Avary (soggettista di Pulp Fiction) rilegge e semplifica il poema originale, dando inaspettatamente spazio a numerosi ammiccamenti di taglio sessuale (molte le frasi ‘a doppio senso’ e i passaggi ambigui) e a svariate sequenze violente. Tutto ciò rende Beowulf una pellicola d’animazione che sorprenderà piacevolmente, a patto che non si sia under 12: nel qual caso, la visione è decisamente sconsigliata.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 15 settembre 2008

Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street

Benjamin Barker (Johnny Depp, Golden Globe come miglior attore) è uno stimato barbiere della Londra Vittoriana, la cui esistenza – insieme a quella dei suoi congiunti – scorre tranquilla e luminosa. Ma un giorno il sordido giudice Turpin (Alan Rickman, già noto ai fan della saga di Harry Potter), bramoso di avere con sé la di lui moglie, lo accusa di un delitto mai commesso e lo spedisce in galera, ove rimane per ben 15 anni. Al suo ritorno, l’uomo assume il nome di Sweeney Todd e si stabilisce nella sopraelevazione della lurida bottega della signora Lovett, la quale prepara “i peggiori pasticci di carne di Londra”. Avviando il proprio piano di vendetta ‘ad ampio raggio’ (che include anche il presuntuoso barbiere pseudo-italiano Adolfo Pirelli, interpretato da Sacha “Borat” Baron Cohen), Todd rifornirà di carne fresca la sua coinquilina, saziando gradualmente la propria sete di sangue.
Sweeney Todd, l’ultima fatica del genialoide Tim Burton, è un film non del tutto riuscito, ma di grandissimo fascino estetico: la messinscena (scenografie da Oscar del nostro Dante Ferretti) e la fotografia quasi monocromatica – di Dariusz Wolski – sono davvero straordinarie, ma ciò che non convince del tutto è l’andamento della narrazione, ‘castigata’ da numeri musicali non molto convincenti (se ne salvano due o tre). Paradossalmente, in questo insolito splatter-musical, sembra funzionare di più la semplice colonna sonora ‘di raccordo’ di Stephen Sondheim, già autore del musical teatrale al quale si rifà la pellicola. Comunque, notevole la sequenza dei titoli di testa – ad animazione digitale – ed il cupissimo finale; intelligenti ma superficiali i riferimenti alle pratiche di carità inglesi ottocentesche (vedi l’assistente di Pirelli), all’epoca di grande rilevanza sociale.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: A

giovedì 4 settembre 2008

Onora il padre e la madre

Hank (Ethan Hawke) ed Andy (Philip Seymour Hoffman) sono due fratelli assai diversi fra loro – anche per status sociale – entrambi però con seri problemi economici: il primo è divorziato e non riesce a mantenere la figlioletta (che gli urla al telefono “sei un fallito!”), il secondo è un cocainomane depresso che vorrebbe rifarsi una vita in Brasile con la propria avvenente moglie (Marisa Tomei, più nuda che vestita). Ma la via proposta da Andy ad Hank per incassare facilmente un bel po’ di soldi sarà causa di una lunga serie di sciagure che coinvolgeranno in primis la vita dei loro genitori…
Un torbidissimo thriller raffreddato quello che ci regala il grande regista americano – in tutti i sensi, dato che è anche ultraottantenne – Sidney Lumet (Quinto potere), in cui sono ritratte le amorali azioni – catalizzate dal dio denaro – di un’umanità senza speranza e senza possibilità di redenzione, come peraltro si evince dall’ironico, ‘luminoso’ finale. Le grandi interpretazioni dei due protagonisti (che a volte sembrano ‘dire di più’ quando non parlano), unite ad una solida regia a base di flashback intersecati e ad una degna confezione (la fotografia è virata in un grigio bluastro; le musiche sembrano quasi mettere ansia) concorrono alla riuscita di questo – ammettiamolo, volutamente sgradevole – affresco sulle origini del male, che sono da ricercarsi nella sola umanità.
Il titolo originale (Before The Devil Knows You’re Dead) è parte di un detto irlandese, consiglio dato ai peccatori sul punto di morire: se si possono rifugiare in paradiso ingannando il demonio, allora meglio per loro.

CRITICA: «««½

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 1 settembre 2008

Il postino

Isola di Salina, arcipelago delle Eolie, 1952. Il postino ausiliario Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) riceve l’incarico di consegnare la (consistente) posta in arrivo al famoso poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret), lì giunto perché in esilio politico: tra i due nascerà un’amicizia breve ma intensa. E, grazie al poeta, Mario comprenderà qualcosa di più della poesia e dell’amore.
Basato su Il postino di Neruda di Skarmeta, l’ultimo film di Troisi (morto prematuramente alla fine delle riprese) è sciaguratamente diretto dallo scozzese Michael Radford, la cui regia – sommaria e non ‘asciutta’ – è incapace di valorizzare i tanti momenti potenzialmente emozionanti. Tutto nel film appare ‘facile’ e scontato: la storia d’amore di Mario con “la bellezza dell’isola” Beatrice Russo (Maria Grazia Cucinotta); il rapporto con la politica; la ‘gestione’ di un’amicizia fuori dal comune. Senza Troisi, padre morale dell’opera, staremmo parlando di un film irrimediabilmente modesto. Musiche – vincitrici dell’Oscar – di Luis Bacalov.

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: T

giovedì 21 agosto 2008

Cloverfield

Rob, giovane americano di buone speranze (Michael Stahl-David) è sul punto di andare in Giappone per motivi di lavoro. I suoi amici – più o meno stretti, ex fidanzata compresa (la graziosa Odette Yustman) – gli organizzano una festa a sorpresa a Manhattan: ma questa sarà bruscamente interrotta da paurosi eventi catastrofici causati da un colossale mostro spuntato dal mare (una specie di piovra-crostaceo) che metterà a ferro e fuoco la città. Hud, incaricato di girare un filmino di addio per Rob, immortalerà gli eventi con la videocamera del fratello del festeggiato.
Cloverfield è innanzitutto un’abilissima operazione di pervasivo battage pubblicitario, durato svariati mesi nel 2007, che ha solleticato non poco l’attenzione dei fan – e non solo – di J.J. Abrams (produttore del telefilm Lost e regista di Mission: Impossible – III), vero padre della pellicola più del regista Matt Reeves, che confeziona una miscela mozzafiato – e nauseabonda sul grande schermo per la maggior parte degli spettatori – di horror, fantascienza, catastrofico e (sorpresa!) sentimentale, che paradossalmente è la componente dominante in quanto giustifica il senso delle azioni del protagonista e dei suoi amici. Comunque, quel che rende Cloverfield un monster-movie degno di nota, sorta di Godzilla dell’era di YouTube, è la forma: se la storia può essere criticabile perché tutt’altro che inedita, quel che la rende potabile è il modo in cui essa ci viene messa dinanzi agli occhi, ovvero mediante acrobatiche riprese in soggettiva catturate da una videocamera digitale per uso amatoriale. Chiaramente il film non è stato girato con una di esse, ma la resa è tutto sommato verosimile (appaiono evidenti i tentativi di far apparire instabili o frammentarie le riprese, opera del poco esperto amico del protagonista). In definitiva, nonostante alcune scelte criticabili e necessarie (cosa ha risvegliato il mostro? La videocamera è indistruttibile?), conta quel che Cloverfield dice: e, dato il punto di vista, lo dice benissimo. Il finale, poi, è coraggioso e coerente.
Il nome del film è lo stesso dell'area di New York nota come "Central Park" prima degli eventi.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: I

sabato 2 agosto 2008

Bittersweet Life

Kim (Lee Byeong-Heon, una star in Sudcorea e Giappone) è il direttore del Crown Hotel di Seul, proprietà del boss Kang. Un giorno questo incarica Kim – da lui ritenuto l’uomo più affidabile – di tenergli d’occhio una ragazza che dice di amare, a causa di una sua assenza ‘per motivi di lavoro’. Inevitabilmente Kim s’innamora di lei, e pur sapendo di doverla eliminare perché tradisce il boss con un coetaneo, la risparmia: sarà l’inizio di un duro e sanguinoso percorso segnato dall’umiliazione e dalla vendetta.
Presentato fuori concorso a Cannes nel 2005 (ma nelle sale italiane nel Maggio 2006), questo riuscito noir notturno del talentuoso Kim Jee-woon (Two Sisters) è un elegante omaggio al cinema di John Woo, di De Palma e Scorsese in cui la tanto criticabile violenza è trasfigurata a tal punto (vedi le coreografie delle colluttazioni o delle sparatorie) da non impressionare, mentre i toni melodrammatici ed onirici – come nella miglior tradizione orientale – non stonano, dando invece sostanza ad una storia che, sulla carta, potrebbe apparire abbastanza scontata.
Una curiosità: il titolo originale del film, tradotto dal coreano significa La dolce vita, nome del ristorante dell’albergo in cui si svolge la rumorosa resa dei conti finale.

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VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 28 luglio 2008

Il ritorno dei morti viventi 3

Il trioxen – gas messo a punto dall’esercito americano e causa di svariate disgrazie nei due precedenti capitoli – è alla base dei progetti del Colonnello Reynolds (Kent McCord), il quale mira a rianimare i morti per trasformarli in (quasi) indistruttibili automi da guerra, ricoperti da un esoscheletro che ne guida (e limita) i movimenti. Il figlio del Colonnello, il ribelle ed aspirante batterista Curt (J. Trevor Edmond), un giorno, spinto dalla curiosa fidanzata Julie (Melinda Clarke), viene a conoscenza degli atroci e malriusciti esperimenti dello staff del padre: essi risulteranno drammaticamente utili quando Julie perderà la vita in un incidente stradale. Tragico epilogo.
Bizzarra divagazione nel filone zombi del regista/produttore Brian Yuzna: il risultato è un thriller orrorifico in cui la componente sentimentale ha un peso insolitamente alto, ottimamente incarnata dall’incredibilmente sexy Melinda Clarke, zombi innamorata pronta a scempiare impietosamente il proprio corpo seminudo pur di non divorare il proprio fedele amato. La fotografia di Gerry Lively è coloratissima, quasi a sottolineare la natura fumettistica del racconto; gli effetti visivi ed il trucco sono al limite dell’incredibile e lasciano spazio ad alcune simpatiche (e truculente) trovate registiche. Deboli le musiche di Barry Goldberg.

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: A

mercoledì 16 luglio 2008

Derailed - Attrazione letale

Charles Schine (un Clive Owen particolarmente dimesso), pubblicitario e bravo padre di famiglia – con figlia diabetica da curare – un giorno conosce in treno la gentile Lucinda (una Jennifer Aniston fuori parte), che gli anticipa i soldi per pagare il ticket ferroviario. Nonostante Charles abbia problemi a casa ed ancor più a lavoro, decide di flirtare con la donna: i due, giunti al punto di avere un rapporto carnale in un motel ammuffito, vengono rapinati e subiscono violenze. Il delinquente autore del misfatto si farà vivo e, con la scusa di spubblicare la relazione di Charles, gli rovinerà la vita.
Un thrillerazzo tutt’altro che inedito, che comincia bene e con una buona ambientazione (piove in continuazione), aiutato da una suggestiva colonna sonora: presto però emergono le magagne della bucatissima sceneggiatura, le quali si accumulano in maniera macroscopica fino ad esplodere nel madornale colpo di scena finale. La regia di Mikael Hafström non fa nulla per renderle più digeribili. Unico vero pregio del film: non fa dormire.

CRITICA: ««

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 14 luglio 2008

Turistas

Un manipolo di 5 turistas composto da maschi sboccati e da gnocche anglofone (tra cui Josh Duhamel di Transformers e la bionda Melissa George), preferendo un bus scassato ad un piccolo aereo per visitare il cuore del Brasile, finisce col perdersi in posti da sogno che ben presto si rivelano tutt’altro che paradisiaci. Guidati da Kiko, un losco abitante locale, i giovani giungono ad una baracca/ambulatorio clandestino in cui il Dr. Zamora compie illegalmente l’espianto di organi in vivo (!) per yankees abbienti.
L’attore/regista americano John Stockwell chiude la sua “trilogia tropicale” – inauguratasi con Blue Crush e proseguita con l’atroce Trappola in fondo al mare – girando un film-cartolina abbastanza teso, che si lascia vedere per 2/3, fino a quando la superba fotografia diviene incapace di mostrare allo spettatore cosa diamine accada nelle mal dirette scene subacquee o sotto la pioggia battente. Un vero peccato. Da segnalare l’innovativo uso della sparapunti in caso di ferite.

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 7 luglio 2008

Troppo forte

Il borgataro Oscar Pettinari (Carlo Verdone), gran pallonaro, sogna di divenire un attore d’azione, degno epigono di Sylvester Stallone. Un giorno coglie al volo – e maldestramente – l’occasione, gettandosi sotto la Rolls Royce di un produttore americano, sperando in un risarcimento o in una parte in un film: ma l’auto è guidata dall’attricetta anglofona Nancy (Stella Hall) che, come lui, finirà senza soldi e inascoltata dai produttori.
Uno dei primissimi Verdone (1986), in cui tutto il peso del film è sulle spalle del rozzo ed irresisitibile protagonista, animale da sala giochi appassionato di moto con annessa vocazione per il pericolo (solo a parole, però). La Hall, col suo bel faccino pallido, è puramente decorativa; Alberto Sordi, azzeccagarbugli con problemi mentali, si lascia ricordare più che altro per il delirante coup de théatre nel finale. Sergio Leone è accreditato come sceneggiatore; le musiche originali sono di Antonello Venditti. Verdone proporrà una macchietta simile in Gallo cedrone (1998).

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: T

martedì 1 luglio 2008

La mosca

Seth Brundle (Jeff Goldblum), eccentrico e solitario scienziato, ha messo a punto un sistema per teletrasportare oggetti inanimati tramite telepods (“telecapsule”). Veronica Quaife (Geena Davis), una giornalista, lo conosce ad un meeting scientifico ed inizia una sincera relazione sentimentale con lui. Un giorno Seth, credendo che Veronica lo stia usando per avere l’esclusiva, decide – in preda alla gelosia – di teletrasportarsi dopo aver “insegnato” alla macchina la “poesia della carne”. Il teletrasporto riesce, ma nella prima capsula oltre allo scienziato era presente una mosca: i loro genomi si sono fusi. Il che non porterà l’uomo a trasformarsi in un “moscone di 85 chili”, bensì in “qualcosa di nuovo”.
Nata – ma solo nelle intenzioni – come remake di L’esperimento del Dr. K (1958), questa pellicola (1986) di David Cronenberg, prodotta dalla Brooksfilm e dalla 20thCenturyFox, è una pietra miliare del body horror, in cui la “poetica della carne” del cineasta canadese trova piena realizzazione: lungi dall’essere una versione splatter della Metamorfosi kafkiana, è in realtà una commovente storia d’amore con le sembianze di un horror fantascientifico, riuscita parabola sui rischi della scienza postmoderna e sulla corsa sfrenata della società occidentale verso il progresso.
La mosca è uno dei più grandi film degli anni ‘80, oggi cult indiscusso, incredibilmente sottovalutato (insieme allo scottiano Alien) ai tempi della sua uscita. Indimenticabili la performance mimetica di Jeff Goldblum (che subito dopo le riprese sposò la Davis) e le struggenti musiche di Howard Shore (eseguite dalla London Philarmonic Orchestra). Un premio Oscar – uno solo! – per il trucco e i gli impressionanti VFX di Chris Walas; e cameo del grande boxeur canadese George Chuvalo nella scena della sfida a “braccio di ferro”, con in sottofondo (e non casualmente) Help Me di Bryan Ferry.

CRITICA: «««½

VISIONE CONSIGLIATA: A

venerdì 23 maggio 2008

Rabid - Sete di sangue

Una ragazza e il suo fidanzato rimangono vittime di un incidente stradale: il ragazzo si ferisce in maniera non grave, invece Rosie (Marilyn Chambers), presenta numerose ustioni. Questa viene subito condotta presso la vicina clinica del Dr. Keloid, il quale coglie l’occasione al volo per poter sperimentare una rivoluzionaria tecnica di trapianto di pelle, da lui messa a punto. L’operazione va a buon fine: ad un mese dall’intervento Rosie appare in perfetta forma fisica. In realtà il trapianto di pelle ha infettato il suo sangue con un virus ignoto che le ha provocato la nascita di un pungiglione retrattile al di sotto della sua ascella sinistra. Grazie ad esso Rosie succhierà il sangue di coloro che le capiteranno davanti, infettando l’intera Montreal. L’epidemia si estenderà a tutti i continenti.
La seconda opera di D. Cronenberg regolarmente distribuita a livello internazionale si configura come un film fantascientifico a basse dosi di horror, capace di accogliere in sé miti cinematografici giovani e consolidati, dagli zombi ai vampiri, fino al mito del “Prometeo moderno”. Il tutto narrato quasi meccanicamente secondo una struttura da b-movie, influenzata però da un imperfetto taglio melodrammatico che nei film successivi troverà miglior composizione. La Scienza del film, all’epoca rivoluzionaria, è quanto mai attuale. La Chambers, ex attrice hard canadese, fu imposta dal produttore Ivan Reitman al regista per fini puramente commerciali.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: A

lunedì 19 maggio 2008

Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi

Wayne Szalinski (Rick Moranis, il Louis di Ghostbusters) è il classico scienziato pazzo, però buono e padre di famiglia. La sua invenzione – che sembra proprio non voler funzionare – è un cannone laser miniaturizzatore. Questo finirà con l’essere azionato involontariamente dal dispettoso figlio dei vicini di casa, il quale sarà ridotto a grandezza di una formica insieme a suo fratello maggiore e ai figli dello scienziato.
L’esordio alla regia di Joe Johnston – già curatore degli effetti visivi di Guerre Stellari – è una commedia familiare (e familista) targata Disney, sceneggiata senza sprechi di creatività a partire da un soggetto di Bryan Yuzna (Society): quasi una versione for kids dell’Anabasi di Senofonte, con i quattro ragazzini costretti a tornare a casa passando per il relativo giardinetto, vero covo d’insidie.
Un BAFTA 1989 per gli effetti visivi del mitico Phil Tippett; e 2 seguiti (Tesoro, mi si è allargato il ragazzino e Tesoro, ci siamo ristretti anche noi).

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: T

sabato 26 aprile 2008

Michael Clayton

Michael Clayton (George Clooney) è l’avvocato – col vizio del poker – che “aggiusta la verità” al servizio da 15 anni in un grande studio legale newyorchese, il cui capo è Marty Bach (Sidney Pollack, qui attore e non regista). Un giorno, un principe del foro (Tom Wilkinson) dello stesso studio legale di Clayton, dà di testa in un maxiprocesso contro una multinazionale che produce diserbanti e che doveva difendere. Clayton, indagando silenziosamente, si renderà conto di cosa ha condotto il suo caro collega alla follia…
L’opera prima di Tony Gilroy, già sceneggiatore della trilogia di Bourne e di L’avvocato del diavolo, potrebbe apparire come uno dei tanti “fratelli di celluloide” di Insider o di Erin Brockovich: in realtà siamo di fronte ad un legal thriller notturno, raffreddato ed introspettivo, con un ottimo Clooney (che qui zittisce tutti i suoi detrattori) ed un grande Wilkinson, ma non scherza nemmeno una Tilda Swinton – da Oscar – come laido legale della multinazionale. Memorabile il piano sequenza finale. Musiche di James Newton Howard.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: I

sabato 12 aprile 2008

Funeral Party

In una villetta nella campagna londinese si riunisce una folta famiglia per un lutto. Tutto comincia nel peggiore dei modi, a partire dall’apertura della bara al cospetto di Daniel (Matthew MacFadyen, il Darcy di Orgoglio e pregiudizio), uno dei figli del defunto. A complicare la situazione provvederanno in particolar modo una confezione taroccata di Valium e l’apparizione di un silenzioso nano (un memorabile Peter Dinklage, già visto in Prova a incastrarmi), a suo dire "amico" del morto. Frank Oz (In & Out; The Score), dopo aver "rinnegato" La donna perfetta – opera più dei produttori che sua – torna alla regia ed organizza non una vera e propria commedia bensì una farsa che unisce british humour macabro ad un fuoco di fila di gag scurrili e dissacranti. Se i titoli di testa fanno sorridere, subito dopo già si ride sul serio: molto del merito è dovuto alla ridicola galleria di “casi umani” interpretata da un ottimo cast di attori, alcuni dei quali famosissimi in UK ma non da noi.

CRITICA ««½

VISIONE CONSIGLIATA: I


domenica 6 aprile 2008

Tadpole - Un giovane seduttore a New York

Per festeggiare il Giorno del Ringraziamento col simpatico padre (interpretato dal compianto John Ritter, qui al suo penultimo film), il quindicenne Oscar (Aaron Stanford) torna a New York dall’Europa, ove vive – sua madre è francese – e studia. E ha un piano: confessare alla matrigna, la sofisticata cardiologa Eve (Sigourney Weaver), di essere seriamente innamorato di lei. Equivoci, complicazioni e riflessioni in arrivo.
Una commedia tematicamente insolita, diretta e coprodotta da Gary Winick (La tela di Carlotta), lunga poco più di un’ora e vagamente alleniana, sia per l’ambientazione che per i dialoghi (infarciti di citazioni di Voltaire). Irriverente e divertente. Girata interamente in digitale.
Tadpole (“girino”) è il soprannome del protagonista, che sul set di anni ne aveva in realtà ventitré.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: I

domenica 30 marzo 2008

Un'ottima annata

Max Skinner (un occhialuto Russel Crowe) è uno spietato broker londinese, cinico e solitario. Un giorno riceve a casa una lettera che gli comunica che il suo amato Zio Henry (Albert Finney) è deceduto, lasciandogli in eredità la sua villa in Provenza – con vigna annessa – in cui passava le vacanze estive da bambino. Quindi Max si reca subito in Francia, però con l’intenzione di vendere la villa: ma una serie di incontri – tra cui quello con la bella Fanny Chenal (Marion Cotillard) – e di riaffiorati ricordi lo porteranno a riflettere sulla propria vita e su se stesso.
Già guardando la locandina si può intuire quale strada prenderà il film. Ma questo è un piccolo film ‘di regia’ del grande Ridley Scott: a contare sono i simpatici personaggi (tra cui Tom Hollander, il Mr. Collins di Orgoglio & Pregiudizio), la coloratissima fotografia di Philippe Le Sourd, il montaggio mai piatto (vedi la partita di tennis tra Max e il vignaiolo) e perfettamente abbinato a brani pop o “da camera” (musiche di Marc Streitenfeld). La sceneggiatura a orologeria, che comunque non risparmia un paio di colpi di scena nel sottofinale, è di Marc Klein, basata sull’omonimo romanzo di Peter Mayle. Una commedia/inno alla “vita tranquilla” di oraziana memoria – che diviene gradatamente sentimentale – con l’estetica di uno spot pubblicitario.
Una curiosità non marginale: sia il regista che lo scrittore Mayle hanno una tenuta in Provenza.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: T

martedì 25 marzo 2008

Quando l'amore è magia - Serendipity


Dicembre 1990: Sara (Kate Beckinsale), inglesina in vacanza a Manhattan, e Jonathan (John Cusack) s’incontrano al lussuoso centro commerciale Bloomingdale’s, desiderosi di acquistare un paio di guanti. L’incontro/scontro fa sì che i due si conoscano e si piacciano subito, ma c’è un piccolo problema: entrambi sono già fidanzati. Dopo un gradevolissimo pomeriggio, si salutano. Sara, però, convinta che il Destino abbia sempre l’ultima voce in capitolo, decide di segnare il proprio numero di telefono su un libro che il giorno dopo rivenderà, e costringe Jonathan a segnare il suo su una banconota da cinque dollari. Finiranno per rivedersi?
Peter Chelsom (Shall We Dance) dirige una commedia romantica piacevolmente prevedibile e priva di prolissità: dura quello che deve durare, diverte senza essere volgare, accarezza l’occhio con le immagini di una New York natalizia da cartolina. Gli interpreti sono carini e affiatati, le musiche accattivanti. Consigliatissimo a chi crede nel detto “Amor omnia vincit”.
Serendipità, termine coniato da H. Walpole, significa “incidente fortunato” ed è anche il nome di un (vero) locale che appare nel film. Una curiosità: le Torri Gemelle sono state cancellate digitalmente da alcune riprese, visto che la pellicola fu fatta uscire poco dopo il loro crollo.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: T

domenica 16 marzo 2008

The Bourne Ultimatum


Capitolo conclusivo (?) della saga dello smemorato agente CIA Jason Bourne (Matt Damon). Nel finale del film precedente il protagonista, ferito, si spostava da Mosca a New York. In questo film, i 2/3 dell’azione raccontano ciò che è avvenuto in questo lasso di tempo, partendo proprio da Mosca: il Nostro è alla raccolta degli ultimi pezzi di memoria utili alla ricostruzione del proprio passato. Inizialmente – a Londra – è aiutato da un giornalista inglese del Guardian, poi – passando per Madrid e Tangeri – si fa beffe dello “zoccolo duro” della CIA, il progetto Blackbriar, guidato da Noah Vosen (David Strathairn, Oscar per Good Night And Good Luck), fino a giungere a New York per capire davvero perché è divenuto una macchina per uccidere. Lungo il percorso si farà aiutare da due donne: l’agente Nicky Parsons (Julia Stiles) e dalla tenace Pamela Landy (Joan Allen), suo “angelo custode” già in passato.
Paul Greengrass (Bloody Sunday), già autore del precedente The Bourne Ultimatum, incrementa il ritmo narrativo e riduce al minimo i dialoghi, supponendo che lo spettatore già sappia il necessario su trama e personaggi, puntando tutto su una spettacolarità che è figlia della virtuosistica fotografia di Oliver Wood e del montaggio mozzafiato di Christopher Rouse. Eccezionalmente trascinante la colonna sonora di John Powell (Face Off), perfettamente in sintonia con le immagini. Un film molto europeo (regista britannico, location autentiche) ed americano allo stesso tempo: gran parte del merito circa le scene d’inseguimento è dovuto a Dan Bradley, regista della seconda unità.
Quasi un esempio di “cinema puro” postmoderno. 3 Oscar: montaggio, suono, effetti sonori.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: I

lunedì 10 marzo 2008

Palombella rossa

Michele Apicella (Nanni Moretti) è un esponente del PCI che ha perso la memoria in seguito ad un incidente stradale. Essendo egli anche un giocatore di pallanuoto, va a giocare con la sua squadra (allenata da Silvio Orlando) una partita in trasferta ad Acireale, ma nessuno si accorge di quel che gli è accaduto. Giocherà poco e male, e a momenti riaffioreranno i suoi ricordi antichi e recenti: da quando iniziò a nuotare fino alle sue apparizioni in Tribuna politica.
Un non-film onirico e di taglio autobiografico che Moretti – sia regista che attore – confeziona abilmente, riempiendolo di riferimenti al proprio passato e a quello del Partito, non risparmiando critiche alle convenzioni linguistiche e sociali. Il risultato è discutibile, ma la capacità di spiazzare (e talvolta di emozionare) lo spettatore sono indubbi.
La palombella è un tiro lento e preciso difficile da parare. Da ricordare alcuni camei di membri dell’intellighenzia e del mondo del cinema ed una acerba Asia Argento nel ruolo della figlia del protagonista.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: T

martedì 4 marzo 2008

Die Hard - Vivere o morire

Il ruvido detective newyorchese John McClane (Bruce Willis) stavolta è alle prese con un gruppo di terroristi informatici, capeggiati dall’hacker Thomas Gabriel (Timothy Olyphant), che ha deciso di mandare in tilt tutti i sistemi informatizzati degli USA, privandoli in seguito di corrente elettrica. Il Nostro, dopo aver catturato un giovane pirata informatico, si dirigerà da Gabriel affiancato da quest’ultimo per ripristinare l’ordine e per salvare la vita della sua figlia adolescente, gratuitamente coinvolta.
Quarto capitolo (noto anche come Die Hard 4.0) della saga di Die Hard, inaugurata nel 1988 dal memorabile Trappola di cristallo di John McTiernan, che qui passa la regia a Len Wiseman (Underworld), però senza che vengano messi in discussione il gusto per l’esagerazione e la dinamicità delle immagini (fotografia di Simon Duggan). La prima parte del film è la migliore, con gli Stati Uniti nuovamente nel panico e nel caos, in preda alla paranoia post-Undici Settembre; nella seconda l’azione unisce anche il versante familiare del protagonista allo scenario, affidandosi a scene d’azione che diventano sempre più inverosimili. Willis, ‘eroe per caso’ repubblicano, pronuncia una frase – rivolgendosi al giovane compagno hacker – che esemplifica al meglio la sua visione: “Tu non sei contro il sistema, sei contro una nazione di milioni persone normali”. Comunque, grande spettacolo alla vecchia maniera, con stunts ed esplosioni vere e (relativamente) poco digitale. Montaggio di Nicholas De Toth e musiche dell’italiano Marco Beltrami. La sceneggiatura si è basata sull’articolo A Farewell To Arms di John Carlin. Occhio alla star delle soap opera Edoardo Costa nei panni di uno scagnozzo di Gabriel.

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: T

sabato 1 marzo 2008

Il diavolo veste Prada

Andy Sachs (una convincente Anne Hathaway) è una brillante neolaureata, proveniente dalla provincia americana, completamente priva di conoscenze e di cultura circa il mondo della moda. Nonostante tutto si reca alla redazione di Runway (ovvero Vogue America), diretto dall’algida ed esigentissima Miranda Priestly (una grande Meryl Streep nominata invano agli Oscar, clone della vera Anna Wintour) per farsi assumere. Dopo un imbarazzante colloquio, ci riesce. Dovrà poi sottostare 24 ore al giorno agli impossibili ordini di Miranda e subire l’incorruttibile antipatia della capo-segretaria Emily (Emily Blunt, vincitrice del Golden Globe) e del costumista Nigel (un memorabile Stanley Tucci), dopo aver subito una “cura” che ha trasformato il suo stile e messo a rischio il suo rapporto col paziente ed umile fidanzato.
David Frankel, premiato regista della famosa serie TV Sex & The City, dirige un brioso film glamour e metropolitano sull’effimero ed iperdinamico universo delle riviste fashion, recitato da una protagonista quasi sempre col cellulare in mano e circondata da personaggi impregnati di stronzaggine, lanciatori a pieno ritmo di battute sarcastiche. Poco credibile il finale sdolcinato, quasi fiabesco. Colonna sonora accattivante con varie hits tra cui Jump di Madonna; funzionali il montaggio di Mark Livolsi e la fotografia di Florian Ballhaus (figlio del grande Michael).
Da segnalare i camei di Valentino e di Heidi Klum.
Basato sull’omonimo best seller autobiografico di Lauren Weisberger.
P.S. E' un caso che la protagonista si chiami Sachs? In effetti suona molto simile a “sucks”, cioé “fa schifo” in inglese, in riferimento alla sua disastrosa goffaggine prima della “cura”.

CRITICA: ««½

VISIONE CONSIGLIATA: T


mercoledì 27 febbraio 2008

Il demone sotto la pelle

In un’imprecisata città americana si trova l’Arca, ovvero un complesso residenziale di lusso fornito di ogni comfort, persino di una clinica medica dedicata. Un giorno in un appartamento viene ritrovato il cadavere di una ragazza sventrato e riempito di acido: la terribile operazione è stata compiuta da un medico che subito dopo si è suicidato. E’ stato il disperato tentativo, compiuto da parte di quest’ultimo, di eliminare dei parassiti incrementatori di libidine, capaci di trasmettersi per via sessuale o orale, nonostante fossero stati concepiti da ricercatori per rimpiazzare organi umani malfunzionanti. I luridi parassiti si diffonderanno subdolamente in tutto il complesso…
Questo è uno dei primissimi lungometraggi (1975) del canadese David Cronenberg: discretamente truculento, provocò già scandalo tra i critici benpensanti per via del legame cibo-sesso-morte e per l’inquietante finale di notevole efficacia dissacratoria nei confronti del marciume sociale. Frase chiave: “Perfino la morte è un atto di erotismo”. Peccato per una certa povertà di mezzi e per una fotografia 'televisiva'. Evidenti richiami a L’invasione degli ultracorpi di D. Siegel e a La notte dei morti viventi di G.A. Romero. Ivan Reitman (futuro regista di Ghostbusters) figura come produttore e autore delle musiche.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: A

domenica 24 febbraio 2008

Number 23

Walter Sparrow (Jim Carrey) è un triste accalappiacani americano. Un giorno la moglie (Virginia Madsen) gli regala quasi per caso un libro stampato amatorialmente, The Number 23: è la storia delle indagini compiute dal detective Fingerling (sempre Carrey) su un omicidio. Molti punti di contatto tra la vita di Fingerling e quella di Sparrow portano quest’ultimo a sprofondare in uno stato di ossessione numerologica che paralizzano la sua vita, fino a convincerlo di non poterle far seguire una traiettoria diversa da quella descritta dal libro. Epilogo chiarificatore.
Joel Schumacher, regista che ha diretto fin troppi film con la mano sinistra, non si smentisce neanche stavolta, confezionando un film cupo, stiracchiato, poco coinvolgente, nonostante l’idea di base sia decisamente accattivante, purtroppo però sviluppata in maniera ridicola. Funziona soltanto il versante formale: fotografia di Matthew Libatique (Inside Man) e musiche di Harry Gregson-Williams (Le crociate).

CRITICA: **

VISIONE CONSIGLIATA: I

Daddy And Them

Una famiglia numerosa si riunisce a Little Rock (Arkansas), perché uno dei suoi membri, lo Zio Hazel, è finito in carcere per rapina a mano armata. Questa è l’occasione che permette ad ognuno di “fare il punto” sulla propria vita, specialmente su quella sentimentale.
Apparentemente un film corale, visto l’ampio e simpatico cast (che include Laura Dern, Kelly Preston, Brenda Blethyn, Ben Affleck e Jamie Lee Curtis), questo piccolo lavoro diretto e interpretato da Billy Bob Thornton – alla terza regia – è in realtà una crepuscolare riflessione sulla sincerità dei rapporti di coppia, impregnata di musica country e di dialoghi taglienti, ma anche di frasi d’amore piacevolmente spiazzanti per la loro onestà. Qualche parolaccia di troppo.

CRITICA: **1/2

VISIONE CONSIGLIATA: I

domenica 17 febbraio 2008

American Gangster

La vera incredibile storia di Frank Lucas (Denzel Washington, cattivo efficace), che da autista del vecchio boss di quartiere diviene il signore della droga nella New York ai tempi del Vietnam. Sulle sue tracce c’è Eric Roberts (Russel Crowe, giustamente sotto le righe), poliziotto modello ma pessimo padre di famiglia, donnaiolo e disordinato. Lucas espande il proprio potere smerciando cocaina purissima (la “Blue Magic”) proveniente dal sud-est asiatico a prezzi bassissimi; Roberts è costretto dalla polizia a proseguire le indagini con una squadra tanto scalcagnata quanto efficace. I due si (intra)vedranno al Madison Square Garden ai tempi della mitica sfida pugilistica Alì-Frazier…
Il maestro della regia Ridley Scott (Il genio della truffa; Il gladiatore) torna con un film a lui tematicamente congeniale: come in tutti i suoi lavori, a contare è l’itinerario compiuto dal protagonista, persona che in nome dei suoi valori è pronta a scontarsi col mondo circostante. In questo caso Scott narra “i due lati del sogno americano” – citando la tag line della locandina originale – sceneggiato da Steven Zaillan (Schindler’s List) e servendosi del montaggio eccezionale di Pietro Scalia (Oscar per Black Hawk Down), che concede pari spazio alle due linee della storia facendole poi convergere mediante sequenze sempre più brevi e simmetriche. L’affresco è di grande impatto estetico grazie alla livida fotografia di Harris Savides (Zodiac), ai brani d’epoca e alle musiche di Marc Streitenfeld (Un’ottima annata). Spiccano come figure di contorno i due boss interpretati da Cuba Gooding Jr. ed Armand Assante, ed il poliziotto corrotto Trupo (Josh Brolin).
Il finale è memore di Quei bravi ragazzi di Scorsese, film scritto da Nicholas Pileggi, stavolta solo produttore esecutivo. Giustamente vietato ai minori di 14 anni, nonostante la violenza esploda solo in brevissime sequenze, tra cui quella che precede i titoli di testa.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: A

domenica 27 gennaio 2008

A Beautiful Mind

Biografia – alla maniera hollywoodiana – di John Forbes Nash, matematico americano vincitore del Nobel per l’Economia, che copre gli anni dal 1947 fino al 1994, tratta dal libro Il genio dei numeri di Sylvia Nasar. È meglio non dire altro sulla trama: la sceneggiatura – vincitrice dell’Oscar – di Akiva Goldsman è altamente coinvolgente e ricca di colpi di scena. L’abile Ron Howard (Fuoco assassino; Apollo 13) dirige un Russell Crowe straordinario, capace di emozionare in un ruolo apparentemente così inadatto (avendo una fisicità opposta a quella del vero Nash), specialmente se si tiene conto che aveva da poco recitato ne Il gladiatore. Bravi anche Jennifer Connelly (Oscar come Miglior attrice non protagonista), nei panni della paziente moglie Alicia; Paul Bettany, compagno di stanza all’università di Princeton; e Ed Harris, l’agente segreto. Uso 'silenzioso' degli effetti visivi digitali a cura della Digital Domain. Fotografia dell’inglese Roger Deakins e ottime musiche di James Horner, con la memorabile ouverture che accompagna i titoli di testa. 4 Oscar 2002, tra cui miglior film e miglior regia. Crowe, scandalosamente, non lo vinse.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: I

domenica 20 gennaio 2008

Spider-Man

Peter Parker (Tobey Maguire) è un liceale newyorchese (di Queens) alle soglie del diploma. È genialoide ed imbranato, innamorato perso della sua vicina di casa dalle elementari, la rossa Mary Jane Watson (Kirsten Dunst). Il Nostro non riesce a dichiararle il suo amore e si fa maltrattare dai suoi compagni di scuola. Un giorno, in visita con la classe alla Columbia University, viene morso da un ragno geneticamente modificato, acquisendone in breve tempo le straordinarie facoltà: prima proverà a farsi notare da Mary Jane, poi le utilizzerà per combattere il crimine metropolitano.
Un nuovo eroe è nato: Spider-Man ovvero L’Uomo-ragno, noto anche come “l’arrampicamuri”. E la sua nemesi, il Goblin (Willem Dafoe), padre del suo migliore amico Harry Osborn (James Franco), terrorizzerà sia i cittadini che le persone a lui care. Ma non avrà vita facile…
Sam Raimi porta sullo schermo, dopo anni di pre-produzione, il noto personaggio dei fumetti Marvel, nato nel 1962 da Stan Lee (che appare in un cameo nella scena ambientata a Times Square) e dal disegnatore Steve Ditko. La regia si muove abilmente tra momenti introspettivi, commoventi, comici e spettacolari; il montaggio di A. Coburn e B. Murawski è ottimo. Maguire e la Dunst sono perfetti per le parti: volti freschi e non eccessivamente belli, quindi credibili; è impagabile Dafoe nei panni del magnate psicopatico in crisi. Effetti speciali molto buoni, ma non ancora eccelsi come nei sequel, a cura della SPI. Piccola parte per l’attore feticcio di Raimi, il suo amico Bruce Campbell, come presentatore dei combattimenti di wrestling; camei di Randy Savage (“Sega-ossa”) e di Lucy “Xena” Lawless. È già nella storia nel cinema il bacio notturno e sotto la pioggia, a testa in giù, tra Spider-Man ed MJ. Tristemente famoso il bellissimo trailer che mostrava una ragnatela enorme tra le Twin Towers con elicottero incastrato: fu ritirato dalla circolazione dopo l’11/9/2001.

CRITICA: «««

VISIONE CONSIGLIATA: T

mercoledì 16 gennaio 2008

I Simpson - Il film

Springfield è una delle cittadine più inquinate degli USA: urge una bonifica del lago locale. Ma la situazione precipiterà grazie all’insanabile idiozia di Homer J. Simpson. E lui stesso dovrà darsi da fare per evitare che vengano – letteralmente – distrutte sia la città che il suo matrimonio.
Il nucleo familiare più strampalato d’America – ma allo stesso tempo esemplificativo di una vera famiglia americana media – approda sullo schermo dopo vent’anni di carriera da cartoon TV di culto (ma si parlava di lungometraggio già dal ‘97): David Silverman, storico regista di molte puntate, è garanzia di divertimento. I temi a farla da padrone sono ambientalismo (con cameo della band dei “Green Day” in apertura), critica della politica di Bush (e repubblicana in generale) e unità familiare. Abbondano le citazioni cinematografiche e i riferimenti alle manie dei beniamini del pubblico. Purtroppo molti personaggi secondari, comunque assai noti perché protagonisti di molte puntate TV, non hanno spazio nella vicenda ed appaiono tutti quanti solo con brevi battute. La pellicola avrebbe meglio reso l’idea di lungometraggio con una trama più complessa e con una decina di minuti in più: al netto il film è di solo 1h 14’. Lo stile grafico è sostanzialmente lo stesso della serie TV, ma assai più dettagliato e fluido (grazie all’uso di elementi 3D generati al computer). Attenzione ad alcune gag nei titoli di coda e a qualche leggera e inedita sconcezza.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: I

mercoledì 9 gennaio 2008

Henry - Pioggia di sangue

Nella più scalcinata periferia di Chicago giunge Becky (Tracy Arnold) a soggiornare presso il fratello benzinaio Otis (Tom Towles), per via di una precaria situazione familiare. Insieme ad Otis vive già Henry (Michael Rooker, all’epoca assai somigliante a Heath Ledger), giovane e silenzioso energumeno, suo ex-compagno di carcere. Sia Becky che Otis finiranno per cadere in una spirale di brutalità gratuite aperta da Henry, il quale ammazza donne con estrema facilità a causa di un torbidissimo passato.
Basato sulle confessioni del vero serial killer americano Henry Lee Lucas (al quale si devono oltre 300 omicidi), questa folgorante opera prima di John McNaughton (Crocevia per l’inferno) - che comunque inserisce personaggi fittizi - si configura come una grigissima docu-fiction a basso costo, quasi una relazione clinica su un assassino senza scrupoli. Nella prima parte, dal tono disteso, vengono mostrati gli esiti delle azioni violente di Henry; nella seconda l’efferatezza esplode in sequenze fulminee (sottolineate dalla musica elettronica) e truculente, prive di autocompiacimento. L’impareggiabile squallore che impregna pellicola, personaggi e luoghi, viene trasmesso con grande efficacia allo spettatore, anche grazie all’uso del formato 4/3 (cioè quello televisivo), decisamente antispettacolare. La freddezza che caratterizza il disinvolto protagonista è pari a quella della narrazione: il risultato è letteralmente agghiacciante. In definitiva, è un'opera tanto malsana quanto riuscita.
Girata in meno di un mese nel 1986, uscì negli USA solo nel 1990 a causa dell’iniziale rating “X”, che blocca totalmente la circolazione di un film. Distribuita in Italia nel 1992 vietata ai minori di 18 anni; ampiamente citata da Nanni Moretti in Caro diario.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: A

martedì 8 gennaio 2008

Giovani aquile

La vera storia della Squadriglia Lafayette, che nella Prima Guerra Mondiale aiutò dal cielo la fanteria francese. Essa era costituita da soli volontari, veri pionieri dell’aviazione militare, giovani (quasi tutti americani) di varia estrazione sociale, spesso in vena di riscatto personale. Addestrati dal burbero Capitano Thenault (Jean Reno), molti di loro andarono incontro ad un destino impietoso: l’aspettativa di vita di un pilota era di sole sei settimane. Finale con la foto in seppia dei veri eroi.
L’attore e pilota Tony Bill confeziona un film di guerra “classico”, come non si vedeva da tempo, con poco sangue e molta azione nei cieli. Il realismo domina nella descrizione dei rapporti tra i vari giovani, anche nella sottotrama sentimentale che coinvolge il protagonista Blaine Rawlings (James Franco, già visto in Tristano & Isotta e nella trilogia di Spider-Man) ed una graziosa francesina, Lucienne (Jennifer Decker): tra di loro – giustamente, vista la differente nazionalità – il dialogo è a base di sguardi, gesti e qualche parola mal pronunciata. Le scene d’azione aerea, ad elevato tasso di ottimi effetti digitali, sono straordinarie, di certo apprezzabili al meglio su grande schermo. Girato totalmente in Inghilterra. Musiche di Trevor Rabin.

CRITICA: ***

VISIONE CONSIGLIATA: T